Erdogan ha deciso adesso di giocarsi politicamente con l’Europa l’arma che brandisce ormai da tempo: guardate che spalanco le frontiere, lascio passare al confine turco con la Siria tutti quelli che vogliono venire in Turchia e poi chi vuol venire in Europa verrà, siriani e non siriani, fermateli voi, io questo lavoretto di bloccarli tutti in Turchia non ve lo faccio più. Sa bene Erdogan che, anche se i suoi interlocutori europei possono supporre che il confine sud, quello con la Siria, non lo aprirà perché potrebbe non convenirgli, bastano e avanzano i rifugiati di altra provenienza già presenti in territorio turco, più tutti quelli che potrebbero nel frattempo arrivare, a inchiodare a un tavolo non ufficiale di trattative la Ue. Va considerato poi che, pur a frontiera turco-siriana chiusa, c’è al momento almeno un milione di persone nei campi siriani lungo il confine e almeno altri tre milioni di persone ad Idlib che Assad ha tutta l’aria di voler continuare a bombardare finché non se ne andranno. E possono andare solo verso nord, verso la Turchia. Il 18 marzo del 2016 l’Unione europea ha firmato un accordo con Ankara che ha messo in mano di Erdogan 6 miliardi di euro in cambio della chiusura delle rotte migratorie controllate dai trafficanti. Tradotto: in cambio del lavoro sporco di cui sopra. Erdogan si teneva in qualche modo i profughi (in teoria per ogni profugo tornato in Turchia ce ne doveva essere uno da collocare in un Paese europeo secondo criteri di vulnerabilità, la maggioranza se li è presi la Germania e in termini politici interni Angela Merkel ne ha pagato il prezzo). Ankara sostiene comunque che di miliardi di euro per sostenere i profughi ne ha già spesi 30, quindi ritiene abbondantemente onorato il patto. E il fatto che ciò non sia vero, che quei 30 miliardi chissà dove sono finiti, non è argomento buono da spendere durante una trattativa con Erdogan, se Erdogan sa che l’Europa quei profughi (siriani e non) preferirebbe vederli sulla Luna piuttosto che ammassati sull’uscio di casa pronti a sfondare il confine carichi di donne e bambini ai quali l’asilo è più difficile da negare.