Il processo digitale
“Sito del Tribunale in tilt, avvocati costretti a scambiare informazioni in chat”, l’accusa di una penalista
Alessandra Cangiano, avvocato penalista, accetta di analizzare col Riformista le difficoltà, proprio quelle pratiche e concrete nelle quali ogni giorno gli avvocati napoletani si imbattono. Perché ripensare al sistema giustizia per chi è al Governo non può prescindere dal tener conto di quel che accade quotidianamente nei tribunali, dei piccoli e grandi ostacoli che bisogna superare per svolgere il proprio lavoro. «Le criticità del sistema sono tante, a partire dalla questione fantomatica del 415bis, del portale del deposito degli atti penali. Poi ci sono falle che riguardano in prevalenza il dibattimento e credo sia l’aspetto più importante», spiega Cangiano.
Lei è di quelle che non respinge a priori il processo digitale e non vede la rivoluzione tecnologica, quella che di fatto si sta attuando nel sistema della giustizia, come un mostro contro cui combattere. Anzi. «Mi auguro che quanto prima sarà possibile visionare tutti i fascicoli da studio, quindi da remoto. Personalmente sono una fautrice del processo digitale, solo per le attività di cancelleria: l’ho provato, ho avuto anch’io problemi, mi sono impegnata e sto cercando di capire come funziona il sistema. Per noi avvocati l’attività propedeutica all’attività dibattimentale è fondamentale e poterla fare da studio, avendo ovviamente una serie di strumenti adeguati che sono necessari, è una rivoluzione che ci consente di lavorare da casa o da studio quando non si hanno udienze e di studiare bene i processi per poi andarli a discutere in tribunale. Ciò implica una fruibilità del sistema che non sempre funziona, soprattutto in determinati orari e quando c’è un accesso massivo da parte di tutti gli avvocati. Inoltre, non sempre riesce ad autenticare l’avvocato, il quale è costretto a mandare la pec rischiando lo scarto del sistema o l’inammissibilità con la scadenza dei termini e a pagarne le conseguenze sono l’avvocato e il suo cliente».
C’è anche un problema di informazione. «Non tutti gli avvocati sono stati adeguatamente informati dei browser che devono essere utilizzati e delle chiavette necessarie per la firma digitale per poter accedere al portale – aggiunge Cangiano – E il dibattimento è diventato un delirio per cui gli avvocati usufruiscono di chat create con WhatsApp oppure sul Gruppo sostituzioni Covid, disperati, chiedono le informazioni più strambe perché non sanno cosa fare il giorno dopo. Purtroppo il tribunale di Napoli è un tribunale grande e il sito non è sempre aggiornato. Le criticità sono tante».
E non sono solo criticità di natura operativa e pratica. «C’è anche un dato politico – osserva la penalista – Il problema più grave è che sono state prese decisioni e sono stati fatti accordi senza consultare l’avvocatura o almeno tutta l’avvocatura. L’avvocatura non è stata avvertita in tempo avvertita né è stata invitata in sede di progettazione del sistema, perché se illo tempore fosse stata invitata al tavolo tecnico avrebbe sicuramente rappresentato al Dgsia (la direzione dei sistemi informativi del Ministero della Giustizia) e agli stessi procuratori che così facendo la nostra attività difensiva sarebbe stata molto compressa, e così anche i diritti dei nostri assistiti».
La questione è complessa e una riflessione su questa rivoluzione digitale verso la quale si avvia il mondo della giustizia deve considerare, tra i vari aspetti, anche quello culturale. «Serve sicuramente un cambiamento anche culturale – commenta – Purtroppo gli avvocati non sono stati adeguatamente informati di queste innovazioni tecnologiche, molti hanno un rifiuto materiale di fronte a questa sorta di imposizione e altri non possiedono ancora una chiavetta per la firma digitale. Ci è stata messa davanti una condizione: o il portale o niente. Ma non si può utilizzare la pandemia per imporci un sistema che può essere una gran cosa e un primo passo verso un’innovazione tecnologica, ma non andava servito già progettato».
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