Il leader 5 stelle cede al dl Ucraina
Soap opera Conte, dal ‘fumo’ del finto pacifismo al sì alle armi: scontro col PD per coprire la giravolta

Giuseppe Conte, il tarantolato. Il leader 5S ieri si è mosso come nella ‘pizzicata’ della sua Puglia, dove la leggenda vuole che il morso di una tarantola ingeneri insieme energia e follia, costringendo a ballare anche controvoglia. È così che si muove Conte, sospinto – dice chi conosce le segrete cose del Movimento – da un copione puntuale, malgrado il caos. E ben pianificato, nella sua euforia. La giornata è iniziata alle 11, con il voto di fiducia al Senato. Le incognite si sono presto risolte in un ampio consenso al dl Ucraina, ma nel Movimento si è aperta la conta interna. Il partito di Conte, il più “scosso” da tutta la partita sul decreto Ucraina, aveva fatto registrare tutte le posizioni: dal sì “sofferto” all’invio di armi al no netto, dopo l’ok della Camera, all’odg sul rispetto dell’impegno assunto con la Nato sulle spese per la difesa. Ma alla prova dei fatti, contrariamente ai timori di qualcuno, ha fatto registrare solo tre assenze non giustificate (i senatori Alberto Airola, Daniele Pesco e Gianluca Ferrara, che però si è affannato a precisare di essere in missione ufficiale con l’Osce in Ungheria).
Erano otto i pentastellati “autorizzati” a non partecipare al voto. Già ampiamente annunciato il voto contrario del presidente della commissione Esteri Vito Petrocelli: lo attende “una sanzione”, fa sapere la presidente Castellone. È lei, da capogruppo M5s al Senato, a riassumere la posizione del suo partito dandole una forma: «L’obiettivo deve essere quello di una difesa comune europea finanziata da emissione di debito comune europeo». E se per Petrocelli si aprono le porte dell’espulsione, c’è chi scommette che tra il votatissimo neo Probiviro, Danilo Toninelli e la tempistica dei ricorsi, sarà tutta da vedersi se allo sbandierato allontanamento del senatore riottoso seguiranno i fatti. Petrocelli resisterà prima come senatore del M5s e poi nella sua qualità di presidente della commissione Esteri. Ma la folle giornata di Conte non ha previsto riposo. La strategia è scenica, la scrittura è cinematografica. Alle 15,30 ha dato appuntamento per una diretta Instagram concertata con Rocco Casalino in cui, apparso visibilmente alterato, l’ex premier non ha mancato di sbattere i pugni sul tavolo.
I toni accesi e il volume al massimo, Conte è partito per una intemerata contro Draghi e il Pd. «L’alleanza con il Pd va avanti da tempo, abbiamo lavorato insieme e sperimentato un pacchetto importante di riforme. È chiaro però che io pretendo rispetto e dignità. Non posso accettare accuse di irresponsabilità. Non funziona così: non siamo la succursale di un’altra forza politica, non siamo succedanei di qualcuno», ha aggiunto Conte. Accompagnano le parole con la teatralità dei gesti. E forse ignorando che “succedaneo” significa successivo in senso cronologico. Ma poco male. Conte è un fiume in piena e il vocabolario può attendere. E d’altronde la sostanza è quella che conta. Ad averla chiara. Perché alla fine di questa pièce, Conte getta un occhio all’orologio, si accorge che la diretta sta per finire e seraficamente conclude: «Non accetto che ogni volta che poniamo una questione politica ci si accusa di volere una crisi di governo. Vogliamo il rispetto da tutte le forze politiche». Ma rimane agli atti che il dl Ucraina, con le armi subito agli ucraini resistenti, va bene così. E che la questione dell’aumento delle spese per la Difesa potrà pur andar bene, se magari distillato in soluzioni più leggere, da qui a quattro-sei anni.
Per il resto, è tutto colore. Come quello dell’irritato presidente del M5s che si fa portare dalla scorta al Quirinale, annunciandolo alle agenzie come se fosse sul punto di dettare una dichiarazione di guerra. E invece all’incontro con il Capo dello Stato non succede niente. «Un normale colloquio come ne hanno i rappresentanti dei partiti. Clima disteso e costruttivo», chiariscono subito dal Colle. Ma è ancora all’uscita dal Palazzo del Quirinale che Conte, davanti alle telecamere, torna a vestire i panni del cattivo: «Continueremo a sostenere il governo, ma non rinunciamo alle nostre posizioni: che nessuno si permetta di parlare di bandierine o di polemiche strumentali. Noi poniamo questioni politiche che riguardano la vita dei cittadini». E non rinuncia ai toni populisti: «Abbiamo rappresentato al Presidente Mattarella la sofferenza del Paese». Non pago, Conte indice una riunione dei gruppi parlamentari in serata.
«Cercheremo di capire quale programma finanziario il Mef e il premier Draghi presentano per rispondere alle difficoltà che sta vivendo il Paese», rilancia Conte, «anche il Pnrr sta procedendo a rilento e siamo preoccupatissimi». Ma dietro le quinte si discute sempre più di un altro tema che comunque non sarà sul tavolo prima delle amministrative. «Cosa aspettiamo ad aprire la partita sulla legge elettorale? Non possiamo legare il nostro destino a quello del Movimento 5 stelle», si sfoga un altro dirigente del partito del Nazareno. Il cortocircuito sull’aumento delle spese militari tra Pd e Movimento 5 stelle, «Conte ha commesso un errore nel metodo oltre che nel merito», la tesi, ha creato nuove fibrillazioni in vista del prossimo appuntamento elettorale. Anche nel M5s cresce la voglia di proporzionale, ma il ‘refrain’ nell’ex fronte rosso-giallo è che la mossa di cambiare il sistema di voto deve avere la sponda di FI e Lega. «Se Salvini non lascia sola la Meloni noi saremmo costretti a restare con M5s», argomenta un esponente del governo del Pd. Eppure la voglia di mollarlo c’è, eccome.
Ne parlano dietro le quinte tanti deputati e senatori dem. Matteo Orfini sbotta apertamente: «Il rispetto per loro c’è sempre stato, persino di fronte a un atteggiamento strumentale, tutto legato a dinamiche di partito, su un tema e in una situazione delicata come quella che stiamo vivendo. Sono contento che oggi Conte si scopra pacifista e antimilitarista ma siccome il suo è un atteggiamento strumentale, se c’è qualcosa di irrispettoso è proprio questo modo di agire. Noi da parte nostra, responsabilmente, abbiamo trovato una soluzione grazie al lavoro di Letta e Guerini». Più diretta l’analisi di Carlo Calenda. Per il leader di Azione «quella di Conte è una sceneggiata. Questi fanno sceneggiate dalla mattina alla sera. Loro fanno questa sceneggiatina ma poi arriva Draghi, alza un sopracciglio e stanno zitti». E Teresa Bellanova, vice ministra ai trasporti di Italia Viva: «Le parole del presidente Draghi mettono fine alla pantomima Conte. Il M5s torna a parlare di dietrofront del governo su armamenti grazie alla loro azione. Agli amici del Pd chiedo: davvero volete fare una alleanza con un movimento che si caratterizza per inaffidabilità massima?».
Le fibrillazioni non sono destinate a sopirsi. La prossima settimana dovrebbe arrivare nell’Aula di Montecitorio la pdl sui sindacati militari e l’opposizione prepara altri ordini del giorno, poi ci sarà il confronto sul Def. Ma il nervosismo di Conte, a guardar bene, potrebbe essere dovuto ad altro. Il Copasir starebbe ragionando su tre audizioni di peso: Miozzo, Portolano e Pecciarielli saranno auditi in camera caritatis entro le prossime due settimane sulla vicenda dell’operazione che portò i militari russi a Bergamo. I tempi cambiano, la Russia si allontana, adesso sono in tanti a volerci vedere chiaro.
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