Il Sì&No del giorno
Social Card: “No, il governo tende a modelli statalisti e si basa su una concezione paternalista”
Nel Sì&No del giorno, spazio al dibattito sul nuovo provvedimento del Governo, la social card: è stato giusto o no introdurla? Lo abbiamo chiesto a Marco Silvestroni, Senatore FdI, che è favorevole, e ad Annarita Digiorgio, giornalista, che è contraria.
Qui di seguito il parere di Annarita Digiorgio.
Che questo governo di destra tendesse a modelli statalisti come nelle peggiori esperienze comuniste, si era capito da tante cose: dallo stato stratega che vuole scegliere gli investitori delle aziende, alla Golden power persino sul settore del bianco, alle tasse che – diversamente dalle promesse – non vengono ridotte.
Persino che ci avrebbero detto cosa potevamo mangiare e cosa no, lo sapevamo. Dal nutriscore, alle etichette dei vini, alla farina di grillo, i divieti alimentari sono un forte core business elettorale di questa maggioranza. La novità oggi è che certi cibi ce li danno «gratuitamente» e altri no. E infatti c’è da chiedersi cosa cambia tra l’immagine di Di Maio che brinda dal balcone di Chigi per aver abolito la povertà con il reddito di cittadinanza, e Lollobrigida che – dopo aver promesso di abolirlo – mostra tronfio la social card «dedicata a te».
A parte la cifra «caricata», il meccanismo e il principio sono gli stessi. Si dà una mancia «ai poveri» per comprarseli. Con un errore in più. Si decide per decreto quali beni sono «necessari» e quali no. E cosi nella social card dei sovranisti rientrano 23 voci acquistabili: carni, pasta, riso, frutta, formaggi, miele (ma non marmellata), zucchero ma non sale, aceto di vino (ma non balsamico). È la concezione paternalista dello Stato che decide per te ciò che ti è necessario e ciò che no. Una funziona guida che per un certo verso era presente anche nella 18app, ma in quel caso con una funzione educativa riservata solo ai diciottenni, un regalo che lo Stato fa come «benvenuto» in società, con un bene che diversamente molti ragazzi non potrebbero permettersi, e come «livella» sociale che non distingue un diciottenne povero da uno ricco perché da quel momento è autonomo.
Qui invece si inasprisce una guerra tra poveri, escludendo – ancora una volta – i single. Colpevolizzati per questa condizione in un Paese in cui il 50% dei cittadini vive da solo.
Il governo non cela neppure il tentativo, con questa misura, di indirizzare gli acquisti incentivando determinati prodotti, come è con per tutti i bonus. Lo ha detto chiaramente il ministro Lollobrigida: «Questo strumento è indirizzato a promuovere acquisti che possono sostenere filiere corte, legate a produzioni territoriali italiane, che sono per definizione produzioni di qualità».
Ci consentiranno di comprare «gratuitamente» latte italiano ma non tedesco? Spezzeremo le reni al Canada a botte di social card? E infatti le associazioni di categoria protezioniste hanno subito ringraziato il ministro per il «buono spesa». Se non la povertà, almeno abbiamo sconfitto i grilli. Ma che a criticarla sia chi sostiene il reddito di cittadinanza è surreale. La storia del «non ti regalo un pesce, ma ti insegno a pescarlo» la conosciamo tutti.
Ma sulle famose politiche attive del lavoro, promesse dal governo in carica per liberarci dagli inutili navigator, aiutando definitivamente gli inoccupati a uscire dalla povertà e dall’isolamento sociale, ancora nessuna traccia. Nonostante sia un importante capitolo del Pnrr. E mentre si chiede un salario minimo, nessuno si impegna per aumentare la produttività.
E ancor peggio è la pezza di Lollobrigida per difendersi dalla critica che sono solo 380 euro a famiglia: «Non è una tantum, possiamo ricaricarla quando vogliamo». Immaginiamo nuovi pacchi regalo: il panettone a Natale, la colomba a Pasqua e le chiacchiere a Carnevale. Sperando che nel frattempo i pasticceri, partite iva tartassate, non abbiano abbassato la saracinesca perché a Ferragosto non riescono a pagare le tasse.
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