IA & Politica
Social, gli algoritmi premiano i contenuti estremi: così il Terzo Polo è andato in frantumi
Agli inizi del ‘900, lo scienziato russo Ivan Pavlov scoprì i riflessi condizionati, le reazioni automatiche di mente e corpo a uno stimolo esterno. Una teoria importante nella scienza medica che oggi si può applicare anche alla comunicazione politica, spesso basata sulla delegittimazione reciproca e sul tentativo di suscitare nel proprio elettorato indignazione e sdegno, per coinvolgerlo emotivamente e motivarlo al voto. Anche quando non ci sono elezioni imminenti.
È un effetto della campagna elettorale permanente – termine coniato dal politologo Sidney Blumenthal, che nel 1980 pubblicò negli Stati Uniti “The Permanent Campaign” – e di una polarizzazione sempre più marcata dello spazio politico. In questi ultimi anni – complici gli algoritmi dei social che hanno premiato i contenuti più estremi, emotivi e identitari – il dibattito è stato caratterizzato da toni accesi, accuse reciproche e da un’intrinseca violenza verbale, che si è riversata con tutta la sua potenza sulla società. Un botta e risposta da tifoseria, disancorato dai contenuti. Così la voce delle forze politiche tradizionalmente più disponibili al confronto – in Parlamento e fuori – è stata sovrastata dal crepitio di polemiche sempre più roventi, e da toni così accesi da degenerare nell’insulto.
Il baricentro delle due coalizioni si è spostato dalla mediana alle estremità. Il Pd di Elly Schlein si è sempre più caratterizzato a sinistra, in competizione con il M5S e Avs, mentre il centrodestra è diventato a trazione FdI, con una Lega che cerca di occupare spazio ancora più a destra sia in Italia che in Europa. Nel frattempo il Terzo Polo si è frammentato. Le forze centriste e riformiste hanno sofferto le regole di questo modello di comunicazione – che ha subìto una sorta di pavlovizzazione, raramente con la possibilità di dettare l’agenda – penalizzate da una forza centrifuga che fino a poco fa sembrava inarrestabile. Allora ricostruire uno spazio politico centrista, moderato, popolare, liberaldemocratico sembra diventata una necessità, soprattutto nel campo progressista, visto che nel centrodestra quell’area è ben presidiata da Forza Italia e Noi Moderati.
È vero che gli algoritmi dei social (e prima ancora un certo infotainment televisivo) hanno premiato i contenuti più emotivi e sensazionalistici – si vedano gli studi sulle campagne elettorali francesi e italiane condotte da AlgoTransparency, fondata dall’ex manager di Google Guillaume Chaslot – ma hanno anche allontanato le persone dalla partecipazione attiva alla vita pubblica e favorito l’astensione, che è diventata un problema di sistema. La cronaca politica di questi giorni sembra mostrare segnali di cambiamento. Lo dimostra l’attenzione riservata ai recenti convegni con Paolo Gentiloni, Ernesto Maria Ruffini, Romano Prodi e le celebrazioni nel centrodestra per l’appello ai liberi e forti di Don Sturzo. Dopo anni di scontri intensi si pone la necessità di tornare, se non a un confronto costruttivo, quantomeno a un incontro sui grandi temi di interesse nazionale.
Per le forze del centro si aprono spazi interessanti, in cui la comunicazione – se ben condotta – giocherà un ruolo importante. Proprio la polarizzazione e l’estremizzazione del dibattito offrono ai partiti che occupano quest’area l’opportunità di proporre una propria agenda mediatica, di distinguersi, aumentando la propria visibilità, e di posizionarsi in modo da intersecare l’opinione della maggioranza degli elettori, tenendo ben presente il meccanismo mediatico che tende a sovrastimare le minoranze rumorose. Il voto, si sa, non sempre premia chi ha più follower. Perché è il contenuto a dare forza a una proposta politica, non Elon Musk.
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