Dalle ricadute geopolitiche della fusione a freddo a un bilancio dell’anno che si sta per chiudere, dalla guerra in Ucraina all’Europa che non c’è, passando per il Qatargate. Un orizzonte a 360 gradi quello che Il Riformista fa con Lucio Caracciolo, direttore di Limes, la più autorevole rivista italiana di geopolitica.

Gli Usa hanno annunciato la “svolta storica” sulla fusione nucleare. In prospettiva futura che impatto può avere sugli equilibri geopolitici planetari?
Parliamo di una prospettiva probabilmente pluridecennale. Non si tratta di una possibilità applicativa della fusione nucleare. Si tratta di un primo passo verso la possibilità di sfruttare questa fonte “pulita” di energia ma da quello che spiegano gli scienziati e i tecnici, è questione di qualche decennio. Non credo quindi che possa avere un impatto geopolitico attuale tenendo anche conto della vista non propriamente lunga che hanno i nostri politici. Non me l’immagino fare programmi da qui al 2060.

C’è chi sostiene che quello americano sia un messaggio militare e non solo energetico. I 5 miliardi di finanziamento necessari per arrivare fino a lì sono stati erogati dal Dipartimento alla Difesa.
Tutte le grandi svolte tecnologiche e scientifiche americane, a cominciare da internet, partono dalla Difesa e poi si diramano verso diverse applicazioni sia civili che militari. Del resto la fortuna di Silicon Valley nasce nel Pentagono. Questo naturalmente implica un rapporto di do ut des. Nel senso che non so in questo campo ma certamente in altri, pensiamo a quello delle reti. I padroni delle reti, che siano Zuckerberg piuttosto che altri, mettono a disposizione i loro dati al Pentagono piuttosto che alla Cia. In questo caso francamente non credo che vi siano particolari retroscena. La questione fondamentale è che l’America vuole essere sempre al vertice dell’innovazione tecnologico-scientifica e quindi sotto questo profilo la riuscita dell’esperimento, che poi significa molto semplicemente che con un laser produci un’energia che è inferiore a quella che poi viene prodotta dal meccanismo della fusione nucleare, ma da qui a usare questo tipo di tecnologia in termini pratici, da quello che dicono gli scienziati, e io non lo sono, ci vuole molto, molto tempo.

Allargando l’orizzonte. A che punto è oggi la corsa agli armamenti e chi ne sono i principali player?
La corsa agli armamenti si è accelerata specialmente nell’ultimo anno con la guerra in Ucraina. I player sono le grandi industrie degli armamenti, i nomi li conosciamo e sono quelli di sempre. Soprattutto americane, inglesi, francesi. Anche l’Italia ha un suo rango quanto a produzione di armamenti anche se preferiamo non farlo troppo sapere in giro. Sarebbe sbagliato ritenere che ci sia un rapporto diretto, automatico, tra armarsi e fare la guerra. Di fatto, però, c’è questo, a tutti i livelli. Anche durante il Covid, ad esempio, se uno va a vedere quello che è successo in America, non è stata tanto una corsa alle farmacie quanto alle armerie. Parlo dei cittadini normali. E nel momento in cui hai la Germania che mette sul piatto 100 miliardi per il suo riarmo, la Polonia che spende più del 3% del Pil e compra armi di punta americane, l’Ucraina viene rifornita. Insomma, più o meno tutti i maggiori Paesi spendono parecchio. Quanto poi alla Russia, che avrebbe un bilancio di una volta e mezzo all’incirca di quello francese, ha però la peculiarità, non solo russa ma certamente russa, di buttare i soldi al vento, nel senso che il sistema militare è talmente corrotto tant’è che poi i risultati sono quelli che vediamo sul terreno.

A proposito di Russia e della guerra in Ucraina. Il presidente Biden ha dichiarato di essere pronto a inviare missili Patriot a Kiev. Come leggere questa affermazione?
Intanto bisognerà vedere se questo accade. Se dovesse accadere certamente è un segnale molto forte di sostegno all’Ucraina ed una sorta di dichiarazione che la guerra non è destinata a spegnersi ma nemmeno a congelarsi e che probabilmente nei prossimi mesi assisteremo ad un inasprimento della guerra che già mi pare sufficientemente aspra, a tutto scapito della popolazione civile ucraina.
Stiamo andando verso la chiusura del 2022. Che anno è stato visto dal direttore di Limes?
L’anno in cui la storia ha preso a correre come mai dall’89-‘90. E soprattutto un anno che ci ha colto completamente impreparati. Parlo di noi italiani ma potrei dire sicuramente noi europei e gran parte del mondo. Questa guerra, che pure covava sotto la cenere almeno dal 2014, anche se poi le sue radici sono molto più antiche, è stata sottovalutata e quando Putin ha deciso d’invadere, ricordiamolo sempre non per quello che sta facendo ma per fare un colpo di Stato in tre giorni e prendersi Kiev, restando poi completamente spiazzato, tutto questo, ripeto, ci ha colto di sorpresa e ancora oggi non abbiamo bene colto il senso di questa guerra che temo sarà una guerra di lunga durata proprio perché è antica nelle sue radici e perché i protagonisti lottano in questo momento per sopravvivere.
Cosa resta della suggestione del multilaterismo e di una nuova governance mondiale post Guerra fredda?
Non ho mai ben capito cosa s’intenda né con governance né con multilateralismo. Sono parole che funzionano da copertura retorica di qualcosa che non so se esista nemmeno. In termini letterali multilateralismo significa che tu ti metti a un tavolo a ragionare e negoziare con vari protagonisti. Tutto questo è molto simpatico. Il problema è che normalmente poi le soluzioni vengono trovate dai grandi protagonisti. In questo caso la vicenda ucraina viene sostanzialmente decisa a Mosca, a Washington e in qualche misura, ma molto più limitata, a Pechino nella misura in cui la Cina può influire sulla Russia e negoziare con l’America, e poi naturalmente a Kiev. Gli altri sono o degli osservatori o comunque delle comparse.

Limes ha dedicato molto spazio e attenzione ad alcuni Paesi chiave sullo scenario mediorientale. Tra questi il Qatar. Dal suo osservatorio geopolitico che idea si è fatto del “Qatargate”?
Se non ci fosse da piangere verrebbe da ridere. Detta un po’ brutalmente e alla romana: ma che ce fai con la vice presidente del Parlamento europeo. Sono soldi buttati. Il che vuol dire che il Qatar ce n’ha tanti e che, vedi i mondiali di calcio in corso, il Qatar ha dei canali d’influenza oliati con risorse finanziarie incredibili che gli permettono di essere molto, davvero molto più potente e influente di quanto normalmente sarebbe un Paese di quelle dimensioni. Noi abbiamo visto in questo caso probabilmente la punta di un iceberg. La punta se vogliamo anche più divertente perché gli effetti pratici della corruzione di un vice presidente del Parlamento europeo e di un ex parlamentare sono meno che zero, però è significativo in quanto evidenzia le attività qatarine in giro per il mondo.

Da questo 2022 come ne esce l’Europa?
Frammentata, divisa, senza baricentro. Sull’ultimo numero di Limes abbiamo ripubblicato una carta sulle varie faglie europee, cercando di ricostruire, per quanto è possibile, le diverse posizioni che sulla guerra in Ucraina vari Paesi europei hanno preso. E che rendono più evidente quello che prima era meno visibile ma abbastanza noto…

Vale a dire?
L’esistenza di un’area che va dalla penisola scandinava, quindi Svezia, Finlandia, Norvegia, e a scendere la Polonia e i Paesi baltici, e poi la Repubblica ceca, la Slovacchia – l’Ungheria no perché fa eccezione – giù fino a Romania e Bulgaria. Nel suo insieme forma un’avanguardia anti russa che l’America considera oggi la sua vera Europa, quella che Rumsfeld a suo tempo chiamava la nuova Europa contro la vecchia Europa molle, corrotta, che saremmo noi. E poi c’è l’area dei Balcani “balcanici”. E una delle conseguenze più pericolose di questa guerra, lo vedremo magari tra qualche anno, sarà il collegamento tra quest’area e lo spazio di combattimento attuale. Comunque vada a finire la devastazione fisica, materiale e al dunque sociale dell’Ucraina, e, speriamo di no, anche di qualche Paese vicino, a trarne vantaggio saranno i poteri, definiamoli così, “informali”. E poi c’è la Germania, che è stata, almeno finora, la grande sconfitta di questa guerra, perché ha perso contemporaneamente l’interdipendenza energetica con la Russia, una parte significativa di mercato in Cina, che è il suo mercato principale, e una buona quota di certezza del suo rapporto con l’America, anche perché gli americani se mai si sono fidati dei tedeschi oggi se ne fidano ancora di meno. E questo rende la situazione tedesca particolarmente instabile. Poi c’è la Francia, con Macron alle prese con grossi problemi di coesione interna alla società francese e, in secondo piano, c’è l’Italia che prova a barcamenarsi, dando armi all’Ucraina senza sapere bene neanche quali siano o ad applicare le sanzioni che altri furbescamente raggirano. In sintesi, è l’Europa che noi definiamo senza apostrofo, frastagliata, divisa e per questo condannata alla subalternità. Ma non va dimenticato che all’origine di tutto, c’è la crisi americana. Se il resto del mondo, a cominciare da Russia e Cina, non avesse percepito una fase di debolezza se non di declino definitivo degli Stati Uniti, probabilmente Putin, per dirne una, non avrebbe azzardato quella mossa. E invece questo è.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.