Dopo gli insulti alla leader di FdI
Solidarietà a Giorgia Meloni, troppi distinguo per un attacco misogino
Per fortuna a Giorgia Meloni non sono mancate le parole di solidarietà da parte delle istituzioni, dopo gli attacchi offensivi di Giovanni Gozzini, espressi su Controradio e che sono valsi al professore la sospensione in via cautelativa da parte dell’università di Siena. Ma a sinistra è come se non si fosse del tutto convinti che si tratti di violenza e nello specifico di violenza misogina. O che si debba prendere le distanze da chi, per criticare una donna, la chiama “scrofa”, “rana dalla bocca grande”, “ vacca”. Lo si è fatto, ma con poca convinzione, ob torto collo. Per dovere. Poi c’è chi non è riuscito neanche a farlo per finta oppure a tacere.
La giudice del programma di Raiuno Ballando con le stelle Selvaggia Lucarelli e il direttore di Domani Stefano Feltri hanno ritenuto giusto non solidarizzare, perché le posizioni della leader di Fratelli d’Italia sono secondo loro violente. Un ragionamento che fa più di una piega, perché Meloni – quanto più lontano ci possa essere dalle mie convinzioni politiche soprattutto sui migranti – non insulta e non usa affermazioni così pesanti. In ogni caso, è come se Lucarelli e Feltri dicessero: siccome le sue posizioni sono sbagliate, allora si può dire quello che si vuole. Senza considerare che se Gozzini pensa così di Meloni (e già sarebbe grave) è perché pensa così delle donne, di tutte le donne. Anche di Selvaggia Lucarelli.
Quel linguaggio non è un errore, anche se il professore, figlio del famoso Mario Gozzini che ha scritto una delle pagine più belle sul carcere, ha chiesto immediatamente scusa. Le parole come “vacca”, “scrofa” sono evidentemente parte di un immaginario che ancora sopravvive e che la sinistra, la sinistra con il sorriso e politicamente corretta, continua a nutrire nel suo seno, spesso senza rendersene conto, finché non succede un “incidente” del genere che mette a nudo convinzioni molto profonde, intrinseche, dure a morire. Quello che più spaventa è l’incastro di due meccanismi: quello che tende a sottovalutare la misoginia quando a essere colpita è una avversaria politica; e quello di giustificare l’offesa perché la persona colpita sarebbe a sua volta violenta. Questo ragionamento non è molto lontano dalla vendetta, da quell’”occhio per occhio” del Vecchio testamento. La mancata solidarietà, dà qualche ora di notorietà, ma getta una pessima luce su chi ne va orgoglioso.
In un Paese dove i femminicidi sono all’ordine del giorno, fa spavento pensare che si possa insultare una donna paragonandola a immagini che la sviliscono, segnate storicamente da un immaginario in cui l’essere donne voleva dire non avere l’anima, essere come animali alla mercé del volere maschile. Ma come si fa? E come si fa a non scandalizzarsi? Nella conversazione radio di Gozzini e di Giorgio Van Straten c’è anche un altro aspetto che colpisce: un aspetto di “classe”. Anche questa volta a parti invertite. Con la sinistra che se la prende con chi non essendo abbastanza colto non può permettersi di criticare il “principe”.
Le offese contro la leader di Fratelli d’Italia partono dal pregiudizio che se vuoi parlare a un prof devi essere prof, se vuoi parlare con chi comanda devi essere altrettanto forte e colto, altrimenti le tue posizioni non sono legittime. Devi stare zitto, subire. Una posizione assolutamente “classista”: ma non era la sinistra che difendeva chi aveva di meno? E difendere non significa paternalisticamente fare gli interessi di qualcuno, ma riconoscergli dignità e diritti, a partire da quello di esprimere la propria opinione.
Meloni è l’unica, insieme ai dissidenti Cinque stelle, a stare all’opposizione. Il sospetto è anche un altro: che non si tolleri chi sostiene una posizione diversa. In democrazia, comunque la si pensi, è fondamentale non solo difendere ma sperare che ci sia chi dissente, chi non la pensa come noi. Il Riformista è stato uno dei pochi giornali che ha chiesto a gran voce l’arrivo di Mario Draghi, quando molti applaudivano il governo Conte due auspicando addirittura il terzo mandato. Noi no. Noi da subito abbiamo chiesto discontinuità e competenza. Ma oggi spaventa il conformismo che circonda Mario Draghi, spaventa che non si tolleri chi all’interno del Parlamento, per ragioni più o meno condivisibili, ha scelto di stare all’opposizione.
Chi ha fatto la Resistenza, chi si è battuto contro il fascismo, lo ha fatto in nome di una Repubblica in cui il dissenso è parte integrante del processo democratico. Si spera allora che la brutta pagina andata in scena su Controradio (che ha preso subito le distanze) non sia uno spettacolo a cui assisteremo spesso nei confronti di chi esprime una posizione diversa dalla maggioranza. Speriamo di no.
Quanto al linguaggio sessista purtroppo la strada per non sentirlo mai più pronunciare è lunga, molto lunga. E non si dica che è stato un errore. Sarebbe come nascondere la polvere sotto il tappeto. Non è un errore è una cultura diffusa che va sconfitta. Senza giustificazioni né distinguo. E con tanta solidarietà.
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