L a parola “solidarietà” – pur avendo una lunga e gloriosa storia, che rinvia addirittura al diritto romano – non gode attualmente di grande popolarità. Nel linguaggio della politica e nella discussione pubblica viene evocata solo in rare occasioni e la si ritrova, tutt’al più, nei documenti della Chiesa e nel lessico degli operatori del Terzo settore. Eppure, la Costituzione, all’articolo 2, afferma che la Repubblica “richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Si potrebbe pensare che la sua sostanziale emarginazione dall’ambito in cui avviene la formazione discorsiva e democratica dell’opinione e della volontà, ovvero la politica, dipenda dalla polisemia del concetto, che non sembra prestarsi a una definizione univoca e può anzi facilmente – sebbene erroneamente – venire sostituita con categorie come generosità, altruismo, benevolenza, socialità, attenzione per gli altri.

La sua latitanza non si deve però, o almeno non soltanto, a problemi di ordine definitorio o concettuale. Si deve, piuttosto, all’egemonia conquistata dal neoliberalismo, che ha spinto la parola noi ai margini del dibattito politico e ha promosso un modello di vita che porta gli individui a operare in modo conforme a regole di comportamento coerenti col funzionamento dei sistemi economici e digitali. L’homo œconomicus del neoliberalismo – come ci insegna Michel Foucault – prende corpo dal modello dell’impresa per essere esteso e assunto come modello capace di regolare i rapporti sociali e le nostre esistenze nel loro complesso. All’interno di quest’ordine politico la democrazia liberale sembra rimanere subalterna al sistema stesso; inoltre, grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie digitali, tale sistema sviluppa e incorpora l’idea di poter computare, misurare e prevedere il nostro agire diventando sempre più pervasivo e invasivo: aspetti e forme di manifestazione di potere da cui la tradizione liberale ha tentato da sempre di salvaguardarci.

Per essere cittadini e non sudditi, infatti, dobbiamo immaginare e sviluppare strutture sociali in grado di disperdere il potere, sia esso di natura politica, economica o digitale, attraverso l’affermazione di corpi intermedi funzionali a un bilanciamento dei poteri stessi presenti in gioco. La prospettiva politica neoliberale delinea un’idea di società che, per quanto efficace, non è altrettanto efficiente rispetto a quella molteplicità di bisogni propri della nostra soggettività, risultando così sostanzialmente incompatibile sia rispetto alla tradizione liberale sia a quella socialista. Si delinea così una società scomposta, frammentata e globale fatta di atomi scollegati tra loro, di individui privi di legami sociali dove ogni forma di intermediazione viene mediata esclusivamente dalla sfera del digitale. Se ogni cosa possiederà un proprio gemello digitale, ciò farà sì che il digitale non sarà un oggetto tra gli altri, ma rappresenterà il presupposto stesso per poter utilizzare ogni singolo oggetto: rischierà di diventare la condizione stessa di possibilità di ogni nostra esperienza.

È in questo contesto di destrutturazione programmata che la scarsa attenzione per la solidarietà diventa controproducente, perché si tratta di uno strumento fondamentale, e talvolta unico, per orientare l’azione pubblica in direzione della giustizia sociale. La crisi del socialismo contemporaneo e della prospettiva liberale dipendono dalla loro incompatibilità con il sistema che si sta affermando, un sistema che mira a rendere sempre più convenienti le nostre scelte e più efficienti sia le nostre vite che le forme di aggregazione sociale. Il prezzo da pagare per tutto questo è tuttavia quello di dover restare inglobati all’interno del sistema che, per calcolare e poter misurare la propria efficacia, deve ascrivere interamente a sé la nostra soggettività. È possibile ripensare una prospettiva socialista e liberale all’interno di questo sistema? Troppi sembrano essere i vantaggi che il sistema offre in termini di efficienza, produzione e condivisione di informazioni. Per pensare di poterlo scalzare, possiamo invece cominciare a ripensare un agire politico in grado di salvaguardare le nostre sfere individuali, sociali e territoriali?

È in questa prospettiva che la solidarietà può rappresentare un primo tassello per un nuovo programma politico, offrendo una cornice di riferimento – come si afferma, peraltro, nella Costituzione – per creare le strutture di una società giusta che garantisca la sicurezza sociale, i beni pubblici e la partecipazione democratica al processo decisionale. Una prospettiva tanto più verosimile e sostenibile, come orientamento all’azione per le persone, quanto più tali condizioni hanno modo di realizzarsi, offrendo così l’opportunità di sperimentare il potere della solidarietà, incorporato e messo a frutto nelle strutture giuridiche dello Stato sociale che ha reso possibile la materializzazione di diritti già esistenti e la creazione di nuovi. Solo attraverso la vitalità della società civile la solidarietà può essere sottratta a un solidarismo puramente caritatevole improntato a una paternalistica benevolenza, così da tornare a essere un criterio regolativo delle relazioni tra le persone e da acquisire un valore che riporti tutti gli altri principi alla logica della reciprocità, dell’equità e di quella dimensione comune oggi declamata solo a parole, ma smentita dai fatti.

Edoardo Greblo, Luca Taddio

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