Fra le numerose tensioni in atto nel Continente africano, quella fra Etiopia e Somalia può avere risvolti particolarmente gravi, al di là della regione del Corno. Le Autorità di Mogadiscio protestano, anche presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, poiché considerano come un pericolo per la stabilità internazionale un Memorandum firmato all’ inizio di quest’ anno fra l’Etiopia ed il Somaliland. Nel testo dell’Intesa, che doveva rimanere segreto ma è stato rivelato dallo stesso Musa Bihi Abdi, Presidente del Somaliland, quest’ultimo Paese cede ad Addis Abeba una striscia di costa di 20 chilometri sul Mar Rosso, in cambio del riconoscimento etiopico come Stato indipendente.

Per comprendere la portata dirompente del Memorandum, va tenuto presente che nessuno Stato della Comunità Internazionale ha finora riconosciuto il Somaliland come indipendente, per rispetto della unità territoriale della Somalia, che lo rivendica come una propria regione. Il secondo motivo di pericolo è la pretesa etiopica, reclamata con una certa arroganza da circa due anni (ma storicamente da molto più tempo) di un accesso al Mar Rosso, che attualmente secondo i confini stabiliti e accettati dalla Comunità Internazionale e dall’Unione Africana l’Etiopia non ha. Il Premier etiopico Abiy, il quale dopo aver ricevuto nel 2019 il Premio Nobel per la pace ha mostrato uno spirito tutt’altro che pacifico, ha dichiarato in varie occasioni che l’Etiopia ha un diritto naturale allo sbocco al mare, poiché i 130 milioni di suoi abitanti non possono rimanere isolati, senza coste marine e porti. Se questo non verrà garantito in qualche modo attraverso negoziati con i Paesi costieri del Mar Rosso, l’Etiopia -ha aggiunto Abiy- farà ricorso alla forza per ottenere ciò che le spetta.

Il Memorandum con il Somaliland sistemerebbe quindi sia la pretesa etiopica dello sbocco al mare, sia l’ambizione del territorio somalo ad essere riconosciuto come indipendente, e separato dalla Repubblica Federale di Somalia. Come accennato, le Autorità di Mogadiscio vedono il Memorandum come un attentato alla propria sovranità su tutti i territori somali, e come una forzatura del Governo di Addis Abeba, che altera ulteriormente i già fragili equilibri regionali. Quale prima reazione, la Repubblica Federale di Somalia ha deciso di espellere dal suo Paese i soldati etiopici che fanno parte della Forza multinazionale africana ATMIS, per la difesa contro i terroristi di Al Shabaab. Il Ministro degli Esteri somalo Fiqi ha anche dichiarato in questi giorni che se l’Etiopia andrà avanti nell’attuazione dell’Intesa, la Repubblica Federale di Somalia sosterrà con finanziamenti ed armi le milizie etiopiche anti-governative, le quali in effetti in questo momento turbolento per Addis Abeba non sono poche. Anche la Comunità Internazionale nel suo insieme non ha fin qui commentato positivamente l’iniziativa dell’Etiopia, ed anzi ha mostrato viva preoccupazione per il richiamo del Premier Abiy a possibili operazioni militari se non verrà soddisfatto. Ma i venti di guerra non si fermano qui.

Infatti l’Egitto, i cui rapporti con l’Etiopia sono pessimi da quando Addis Abeba ha deciso di costruire la Diga del Rinascimento sul Nilo Azzurro, alterando la portata delle sue acque a danno del Cairo, non attendeva altro che un pretesto valido per schierarsi contro il Governo di Addis. Ha quindi promesso aiuto militare alla Somalia contro le prepotenze del Premier etiopico Abiy, ed ha già fatto arrivare all’aeroporto di Mogadiscio alcuni cargo pieni di armamenti. Ed anche la Turchia, che pure intrattiene buone relazioni con Addis Abeba, ha concluso un’Intesa militare con la Somalia per la salvaguardia delle sue coste da attacchi altrui. Il diritto internazionale, con le sue regole contro la legge del più forte e contro il ricorso alle armi, pare ormai sempre meno rispettato, anche in ambito africano, e non ci sarebbe da sorprendersi se queste tensioni verbali sfociassero prima o poi in un nuovo conflitto continentale.

Se invece le regole avessero ancora un proprio rilievo, si capirebbe che non esiste un diritto naturale demografico all’accaparramento di coste altrui; e si valuterebbe adeguatamente il fatto che esistono una ventina di altri Paesi africani privi di accesso al mare, che tuttavia non pretendono di cambiare con un atto unilaterale i propri confini ormai fissati da decenni, ed accettati dalla stessa Unione Africana. Per fortuna, l’Africa non è tutta così, preda di tensioni, di conflitti e di autocrati declamanti. Eppure, piuttosto che dedicare una maggiore attenzione agli Stati virtuosi del Continente, dove prevalgono il buon Governo, i valori costituzionali, la “rule of law” e di conseguenza una visibile crescita economica, l’Europa e l’Italia continuano a provare un’attrazione fatale per le aree in questo momento più malandate e meno affidabili, fra cui purtroppo rientra senza dubbio da alcuni anni, dopo la devastante guerra col Tigray, la stessa Etiopia.