La somiglianza tra Pd e Pci, il bisogno di una “cultura di mediazione” e di una “politica del confronto”

Più passa il tempo e più cresce la somiglianza con il passato. Certo, si tratta di un confronto che deve necessariamente tenere conto del mutamento rapido della politica e delle stesse fasi storiche nel nostro paese. 

I grandi partiti popolari e di massa del passato non esistono più, dalla Dc al Pci e a tutte le altre formazioni politiche che hanno segnato e accompagnato la crescita e il consolidamento della nostra democrazia. Ma è indubbio che persistono i vizi e le virtù, come si suol dire, dei vecchi partiti anche nella politica contemporanea seppur con nuovi soggetti e altri protagonisti.

E, nello specifico, stanno ritornando uno ad uno, pur tenendo conto delle profonde differenze storiche politiche ed ambientali, alcuni elementi che hanno contraddistinto l’esperienza della sinistra nel nostro paese. Pur non essendoci più, al contempo, una Democrazia Cristiana a cui ci si deve contrapporre e che dispiega una politica e una prassi democratica, riformista e con una spiccata cultura di governo. E, su questo versante, la segreteria della Schlein è alquanto chiara e netta. Ovvero, e per citare solo alcuni tasselli di questo singolare ed anacronistico ritorno, opposizione frontale alla maggioranza di governo; una presunta, e neanche tanto nascosta, dimostrazione della ‘superiorità morale’ nei confronti degli avversari politici; il ricorso sistematico alla ‘piazza’ come elemento salvifico e miracolistico per affrontare e risolvere i principali nodi politici; il ritorno al collateralismo’ con il mondo sindacale di riferimento, cioè la Cgil, l’ormai celebre e famosa ‘cinghia di trasmissione’; il sostanziale rifiuto del dialogo e del confronto – anche su temi importanti e dedicati come la riforma costituzionale ed istituzionale – perché con il ‘nemico’ politico irriducibile non si tratta; e, in ultimo, la puntuale conferma che quando la sinistra non è al governo persiste il rischio concreto o della “torsione autoritaria” o della “svolta a destra” o del “ritorno del regime” o del “golpe strisciante” o del sostanziale “rinnegamento e tradimento dei principi e dei valori della Costituzione repubblicana”. Insomma un campionario che è valso per l’intera esperienza della Democrazia Cristiana contro quel partito e la quasi interezza della sua classe dirigente e che poi si è trasferita meccanicamente a Berlusconi e poi a Renzi a conclusione della sua segreteria nazionale del Pd e poi a Salvini e a maggior ragione, e comprensibilmente, con il centro destra a guida Giorgia Meloni. Cambia, cioè, l’interlocutore politico ma l’accusa politica specifica resta sempre la stessa. 

Ossia, detta in termini ancora più semplici, senza la sinistra al potere la democrazia è sempre a rischio. E con la democrazia la tenuta dello Stato di diritto e addirittura la permanenza delle libertà democratiche e sociali. Ora, se con il Pci c’era una classe dirigente di straordinario livello e di rara qualità, è di tutta evidenza che invece con il nuovo corso del Pd della Schlein e il ritorno di una sinistra radicale, massimalista ed estremista, si ripropone il tema di come far ripartire quella “cultura della mediazione” e quella “politica del confronto” che erano, e restano, i tasselli cardinali della tradizione e del pensiero cattolico democratico e cattolico popolare nella cittadella politica italiana. Per questi motivi, semplici ma essenziali, è fondamentale in questa fase politica – anche in vista del dibattito sulla riforma istituzionale e costituzionale che è decollato dopo la presentazione da parte del Governo del relativo progetto – far sì che le forze riformiste, la cultura Popolare e chi ha una concezione autenticamente democratica e costituzionale della politica, non faccia la politica dello struzzo ma si assuma la responsabilità e il compito – politico, culturale e di metodo – di partecipare attivamente al confronto politico battendo alla radice quel tentativo di radicalizzare il conflitto e di delegittimare moralmente e politicamente l’avversario/nemico. Ne va della qualità della nostra democrazia e della stessa credibilità delle nostre istituzioni.