Forse il segretario generale dell’Onu, António Guterres, non sarebbe stato preso da improvvisa preoccupazione per l’aggravarsi del conflitto a Nord di Israele se – almeno una volta – avesse denunciato e condannato con la necessaria energia la situazione che ha portato a quell’inevitabile aggravamento. La cosiddetta “Linea blu” – vale a dire il tratto di interposizione tra Libano e Israele che l’altro giorno suscitava le invocazioni protettive di Guterres – è stata sorvolata migliaia di volte dai razzi e dai missili che Hezbollah ha lanciato per 10 mesi sulle città, sui villaggi, sulle fattorie e sulle case civili della Galilea.

E non si dice che un pizzico di attenzione delle Nazioni Unite su quella scena avrebbe necessariamente impensierito le milizie filo-iraniane impiantate in Libano e impegnate, senza sosta dall’8 ottobre dell’anno scorso, a bombardare i civili israeliani. Ma almeno sarebbe stato chiaro che il deplorato allargamento del conflitto non viene da qualche pazzotica deliberazione notturna dell’oltranzismo israeliano, ma dallo stillicidio di azioni offensive che non si sa proprio quale altro paese al mondo avrebbe potuto ulteriormente tollerare. Salvo credere che appartenesse al bouquet dei doveri dello Stato ebraico – ma non si capisce in base a quale principio – accettare che vaste porzioni del proprio territorio fossero spopolate a causa di quel continuo bersagliamento e che, dopo il drone iranian-yemenita su Tel Aviv, quella e altre città di Israele fossero prese di mira con effetti ben più devastanti.

Nel medesimo quadro storto delle dichiarazioni improvvide sta quella del plenipotenziario degli Esteri dell’Unione europea, Josep Borrell, a sua volta ragionevolmente preoccupato – come tutti – per l’aggravamento della crisi, ma pungolato dal bisogno di manifestare solidarietà non a Israele ma al Libano; e proprio nelle ore in cui da lì, dal Libano, partono centinaia di missili diretti contro Israele. E a completare quel quadro sbilenco interviene con ineffabile puntualità il comunicato dell’Unifil – la forza di interposizione Onu in Libano – che manifesta il proprio allarme per i “preoccupanti sviluppi verificatisi lungo la Linea Blu”. Un allarme buono tutt’al più da parte del turista di passaggio, non da parte della forza di sicurezza che evidentemente ha trascorso 10 mesi con il naso all’insù pensando che si trattasse di fuochi d’artificio.

Tra le tante colpe imputabili alla politica israeliana non c’è quella di non aver richiamato l’attenzione della cosiddetta comunità internazionale su una guerra cominciata e proseguita da 10 mesi, contro Israele, da un esercito adunato entro il confine di un paese con cui Israele non è in guerra. Un paese che non ha dispute territoriali con Israele, un paese che è vittima o complice del consolidamento, al proprio interno, di una potenza militare alimentata dal regime delle impiccagioni e della polizia morale che apre a bastonate il cranio delle adolescenti con i capelli fuori posto.

I tragici esperimenti delle passate guerre oltre il confine settentrionale di Israele, con le responsabilità che via via hanno connotato le scelte esecutive israeliane, non bastano ad assolvere quelle degli ordinamenti circostanti e quelle – anche più gravi – dell’azione collettiva internazionale, in un contesto di sostanziale inerzia davanti al continuo e plateale armamento di un fattore di sempre più grave destabilizzazione in quella fascia di terra infettata. E a questo proposito varrebbe la pena di aggiungere che l’ammasso di milizie e la mobilitazione di arsenali che Hezbollah ha organizzato nelle settimane scorse – durante l’inopinato assopimento delle Nazioni Unite – non attentava solo alla sicurezza di Israele ma anche a quella della popolazione civile libanese, quella che solo l’ennesima mistificazione ora saprebbe indicare come vittima di una eventuale e più forte iniziativa israeliana.

Quando il medesimo Antonio Guterres, il 21 giugno scorso, prima di rigirarsi e riprendere il sonno, diceva che “la regione e il mondo non possono permettersi che il Libano diventi un’altra Gaza”, evidentemente escludeva dal raggio delle proprie ricognizioni la foresta puntuta dei missili rivolti contro Israele. Se il Libano diventasse un’altra Gaza, qualcun altro – non Israele – lo avrebbe permesso.