La fotografia del ‘pianeta’ carceri in Italia resta a tinte fosche. Il quadro della situazione lo ha spiegato questa mattina Mauro Palma, Garante nazionale delle persone private della libertà, nella sua relazione al Parlamento, l’ultima del suo mandato iniziato nel 2016.

Lo stato delle carceri italiane è inaccettabili per chi vi è ristretto e per chi vi lavora, tra spazi inadeguati e dunque sovraffollati, al cui interno vi sono migliaia di persone che in realtà il carcere potrebbero evitarlo perché condannati a pene brevi.

Dei 54.786 detenuti registrati (rispetto a una capienza effettiva di 50.883 detenuti) e dei 38.897 che stanno scontando una sentenza definitiva, “1319 sono in carcere per esecuzione di una sentenza di condanna a meno di un anno e altre 2473 per una condanna da uno a due anni“, ha spiegato Palma nella sua relazione.

Si tratta di detenuti che, come prevede il nostro ordinamento, potrebbero godere di forme alternative di detenzione ma che invece restano reclusi dietro delle sbarre. Per Palma questo è “sintomo di una minorità sociale che si riflette anche nell’assenza di strumenti di comprensione di tali possibilità, di un sostegno legale effettivo, di una rete di supporto. Una presenza, questa, che parla di povertà in senso ampio e di altre assenze e che finisce col rendere meramente enunciativa la finalità costituzionale delle pene espressa in quella tendenza al reinserimento sociale: perché la complessa ‘macchina’ della detenzione richiede tempi per conoscere la persona, per capirne i bisogni e per elaborare un programma di percorso rieducativo“.

Oltre al carcere per le pene brevi, il focus della relazione è incentrato su altri due punti di crisi del sistema carcere su cui il Parlamento “può e, in parte, deve” intervenire in questo scorcio di legislatura, ha auspicato Palma.

Uno riguarda la malattia psichica in carcere. Nella relazione si legge che al 22 marzo erano 381 le persone detenute cui è stata accertata una patologia di natura psichica che ne comporta l’inquadramento negli istituti, giuridici e penitenziari, predisposti per affrontarla, “ma la soluzione non è e non può essere solo sanitaria e tantomeno di sola sicurezza: va cercata nel coinvolgimento attivo di figure professionali ulteriori e nuove”.

Altro punto chiave è la questione dell’ergastolo ostativo. Al 31 marzo erano 1.822 le persone condannate all’ergastolo, di cui 1.280 all’ergastolo ostativo. Numeri che, ha sottolinea Emilia Rossi, vice del Garante, “dicono che nel nostro Paese l’ergastolo è essenzialmente ostativo: una pena diversa, quasi di specie diversa, rispetto a quelle previste dal codice penale, perché non definitiva bensì sostanziata dal tempo“.

Ma nella relazione del Garante Palma c’è anche un fortissimo richiamo sul numero inaccettabile di suicidi in carcere: sono 29 ad oggi, di cui oltre la metà era sottoposta a misure non definitive, oltre a 17 decessi per cause da accertare. Altra questione centrale è quella delle violenze, che hanno occupato le prime pagine dei giornali dopo i drammatici fatti di Santa Maria Capua Vetere.

Per Palma sono situazioni che richiedono “capacità di accertamento rapido” e “rapida individuazione di responsabilità anche a tutela delle persone su cui pende una incriminazione così grave quale di tortura o quella altrettanto grave di favoreggiamento nei confronti di coloro che di tale reato sono imputati. I tempi non stanno andando in questa direzione”.

La bocciatura del ‘nuovo’ ergastolo ostativo

Nel suo intervento Palma ha criticato aspramente il testo licenziato dalla Camera sull’ergastolo ostativo e che dovrà essere licenziata dal Senato prima dell’8 novembre, “in tensione” con le indicazioni di ben altro tipo date dalla Corte Costituzionale e che introduce “disposizioni decisamente peggiorative rispetto alla disciplina su cui essa è intervenuta“.

È francamente difficile ricondurre quest’opera di riforma ai principi e ai parametri di revisione delle preclusioni assolute previste dall’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario, segnati, i primi, e indicati, i secondi, dalla pronuncia della Consulta“, scrive il Garante Palma nella sua relazione, segnalando tra le disposizioni peggiorative della disciplina attuale l’aumento del termine di tempo, da 26 anni a 30, per l’accesso alla richiesta di liberazione condizionale dei condannati all’ergastolo ‘ostativo’ e quello di durata della libertà vigilata, passata da 5 anni a 10.

Il punto che appare di maggiore tensione rispetto alle indicazioni della Corte, tuttavia, sta proprio nei presupposti prescritti per l’accesso a qualsiasi beneficio (tutti, inclusi i permessi premio) o misura alternativa previsti dalla legge nonché alla liberazione condizionale. Una serie complessa di adempimenti probatori di difficile se non impraticabile adempimento e che, soprattutto, sono rivolti al passato, alla storia della persona spesso condannata in un tempo lontano oltre che riferiti a previsioni prognostiche che tanto somigliano a una prova diabolica”, scrive Palma nella relazione.

Redazione

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