Mazzate sui denti tra esecutivo e magistratura
Spagna, sul lockdown è scontro tra esecutivo e magistratura: il Tribunale supremo lo annulla, il premier lo impone
Siamo alle mazzate sui denti tra governo centrale e magistratura in Spagna. La guerra tra esecutivo e giudici, una guerra plateale fatta di grandi colpi di teatro e esibizioni d’orgoglio da hidalgos, ha trovato nel panico da emergenza Covid un palcoscenico perfetto dopo l’estenuante tiro alla fune andato in scena durante i mesi incandescenti della tentata fuga di Barcellona dal controllo di Madrid. Volano botte da orbi: decreti esecutivi annullati da sentenze, arresti di deputati, i reparti antisommossa sempre sul punto d’essere spediti con uno scatto d’ira davanti ai tribunali.
Quel che il governo di Pedro Sanchez fa, il Tribunale Supremo disfa. E Sanchez lo rimette in piedi e lo ripiazza in pista. Giocando al rilancio, aumentando ogni volta la posta.
Che si tratti dell’antico conflitto tra separatisti catalani e centralisti madrilegni, del grande classico “popolari contro socialisti”, o della più recente battaglia tra favorevoli alla quarantena preventiva contro no mask, sempre braccio di ferro tra governo e magistratura diventa. Ieri con un Consiglio dei ministri straordinario, il premier socialista ha imposto lo stato d’allarme a Madrid in un gesto notevole d’esibizione muscolare. “Fascista”, gli gridano da destra i nostalgici franchisti. “Anarchici disfattisti”, rispondono ai vecchi fascisti i socialisti che con i gruppi anarchici in realtà brigano ogni tanto per tenere in piedi il governo. Lo stato d’allarme consente a Sanchez, per 15 giorni, di far rientrare dalla finestra il lockdown nella capitale e in otto distretti lì intorno dichiarato dal suo ministro della Salute di fronte all’emergenza epidemia a Madrid e cancellato a tempi di record l’altroieri da una sentenza del Tribunale supremo.
Accogliendo un ricorso del Partito popolare (la destra al governo regionale della capitale in aperto conflitto con il governo centrale formato da socialisti, Podemos e cespugli separatisti che all’occorrenza vanno in supporto al Psoe in cambio di puntuali concessioni) il Tribunale supremo ha annullato l’8 ottobre il lockdown previsto per decreto dal ministro della salute spiegando in 26 pagine di sentenza che quel decreto «costituisce una interferenza nei diritti fondamentali senza il giusto sostegno legislativo».
Tecnicamente imputa poi al governo somaraggine aggravata. Avrebbe usato la norma sbagliata, una norma del 2003 invece che la legge del 1986 sulle misure speciali per la salute pubblica. Abrogata quindi dal Supremo in nome della libertà individuale ogni limitazione del movimento in entrata e in uscita da Madrid perché il governo non può intromettersi con questi mezzi nel sacrosanto diritto di ciascuno di decidere per sé. Non può nonostante l’epidemia corra nella capitale più che altrove. Il tasso di contagio in Spagna è il più alto d’Europa, soprattutto nella regione di Madrid: 700 casi conclamati ogni 100mila abitanti, più del doppio della media nazionale. Nel territorio spagnolo non vige lo stato d’emergenza. Durante i primi mesi dell’emergenza Covid per 45 giorni si è usata la legge speciale che consente di limitare i movimenti per decreto. Trattasi però di strumento di legge che ogni 15 giorni dev’essere rinnovato (cioè rivotato in Parlamento e approvato a maggioranza assoluta, 176 voti) altrimenti decade.
Sanchez conta solo su 155 voti sicuri sempre, gli altri se li deve andare a cercare volta per volta. Dopo due proroghe ai poteri emergenziali è stato invitato dalle opposizioni (anche dai separatisti catalani che un po’ gli danno corda, un po’ no) a inventarsi un’altra strada. Il problema per lui è che, se non vige lo stato d’emergenza, qualsiasi limitazione delle libertà fondamentali può essere censurata dal potere giudiziario. E il Tribunale supremo l’altro ieri ha colto al balzo l’occasione per schiaffeggiare il premier socialista e ricordargli che se vuol governare col bastone deve comunque trovare «strumenti costituzionalmente consoni alla possibilità di limitare, centellinare, restringere o addirittura sospendere i diritti fondamentali dei cittadini».
I giudici hanno avallato nei mesi scorsi, senza eccepire un bel nulla, altre pesanti restrizioni alla libertà di movimento decise dal governo locale di Madrid in mano alla stella del Partito popolare Isabel Diaz Ayuso. Abbondano quindi i sospetti pesanti di doppiopesismo. Ma i popolari negano di godere di protezione politica nella loro legittima guerra al governo socialista. Dicono che il decreto del ministero della salute aveva effetti su una zona geograficamente più ampia di quelle interessate dai loro provvedimenti locali e che quindi serviva una legge del Parlamento per imporre il lockdown, non poteva bastare un decreto ministeriale. La destra classica sta tutta dalla parte delle rivendicazioni di libertà sbandierate dal Tribunale supremo. Il quotidiano Abc, giornale conservatore e filomonarchico, così esultava ieri per la sentenza del Supremo: «In tempi così duri per la democrazia e le libertà, la sentenza è un argomento in mano alla speranza». «Di traverso dev’essere andata al presidente del governo la decisione del tribunale supremo di affondare la manovra per mantenere chiusa Madrid per due settimane. La sua reazione adirata, la decisione di convocare una riunione straordinaria del Consiglio dei ministri senza dar ascolto ai giudici e con l’obiettivo di imporre lo stato d’allarme a Madrid esclusivamente, senza nessun dialogo e senza nemmeno che la comunità autonoma l’abbia sollecitato, dimostra il livello d’autoritarismo col quale quest’uomo intende muoversi».
Dopo l’imposizione governativa di un nuovo stato d’allarme limitato a Madrid e a otto distretti in vigore già dal pomeriggio di ieri (c’è un lungo ponte a cavallo del 12 ottobre e gli spostamenti sarebbero stati massicci), decisione che ricaccia all’angolo il Tribunale supremo, i toni ieri erano da scontro totale. Anche perché il protagonismo politico della Suprema corte s’è scatenato ben oltre il terreno della gestione dell’emergenza da pandemia. A fine settembre ha cacciato d’imperio il presidente del governo catalano, Quin Torra. Torra, separatista arrivato al governo per caso nel grande can can del tira e molla sulla secessione di Barcellona da da Madri (ma pur sempre presidente eletto), è stato cacciato dal governo per disobbedienza. Ha disobbedito infatti all’ordine di far rimuovere dai palazzi delle istituzioni catalane i fiocchi gialli simbolo di solidarietà con i leader separatisti catalani arrestati per essere insorti come capipopolo a guidare il tentativo di strappo di Barcellona da Madrid.
Strappo avvenuto tutto contro la legge, utilizzando illegittimamente da un punto di visto giuridico lo strumento del referendum, dentro una battaglia dai toni isterici combattuta con scaltrezza e con alte dosi di opportunismo e di irresponsabilità. Ma pur sempre una battaglia politica. L’inabilitazione a causa del gesto disobbediente era stata decisa dal massimo organo di giustizia della Catalogna. Torra era ricorso al Tribunale supremo che ha ratificato la decisione di farlo fuori. Comunque la si pensi riguardo alla eterna guerra tra Barcellona e Madrid e ai mezzi usati negli ultimi anni dai leader indipendentisti catalani per combatterla, difficile negare che il potere giudiziario e in particolare il Tribunale supremo si ritagli spazi di protagonismo politico assoluto e prenda decisioni che assai poco hanno di tecnico. In questo caso è stato il Tribunale supremo, cacciando Torra, a far indire le elezioni catalane del prossimo febbraio.
Alle quali si arriverà in un tale terremoto di alleanze che la ricaduta di quella sentenza sulla politica nazionale sarà, comunque vada, gigantesca. Anche perché la crisi catalana è un grande blob in grado di divorare ogni ragionevolezza e ogni confronto possibile sui programmi. Il suo effetto politico concreto, finora, non è stato riuscire cavare un solo ragno dal buco nella spinosissima vicenda delle relazioni tra Barcellona e Madrid. ma mettere le ali in tutta la Spagna alla destra feroce e razzista di Santiago Abascal.
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