L'omaggio al tecnico azzurro: oggi la coppa, poi l'anno sabbatico
Spalletti, ‘o surdato ‘nnammurato di Napoli: “Dormo sul materasso in azienda, dai rottami ho ricostruito bellezza”
Riproponiamo l’intervista all’allenatore toscano del Napoli che oggi chiude, al Maradona, la cavalcata trionfale del club azzurro. Con la Samp la grande festa, la coppa e l’addio ai tifosi partenopei: Luciano prenderà davvero un anno sabbatico?
Lo scudetto lo ha vinto sul campo. Solo la matematica e la scaramanzia impediscono ancora a mister Luciano Spalletti e al Napoli di festeggiare il terzo tricolore della storia, il primo senza un signore chiamato Diego Armando Maradona. Qual è l’istante che ha segnato la stagione? Tra un gol di Osimhen e un assist di Kvara, vado controcorrente e scelgo una fredda mattinata di fine gennaio.
A Castel Volturno è in programma l’allenamento della squadra e un gruppo di ragazzini richiama l’attenzione dell’allenatore azzurro. Vogliono selfie, autografi, battute. Ma Spalletti va giù duro: “Come mai non siete a scuola?”. E i ragazzi replicano: “C’è sciopero”. “E quando si recupera la lezione?” incalza il mister. “Mai” rispondono i bimbi. “Come, mai? E quando ti dovrò allenare e non capirai cosa ti dico? Io quelli che non capiscono non li voglio”.
Quel signore lì è Luciano Spalletti in purezza. Un maestro di calcio, sì, ma prima ancora un educatore.
La storia d’amore tra il tecnico di Certaldo, patria di un certo Giovanni Boccaccio, e la città del Vesuvio è plastica nei cori, negli striscioni, nell’entusiasmo di queste ore. “Tutti per lei”, esortava in questi mesi il tecnico: dove lei è la città, la maglia, la storia. “Uomini forti, destini forti”, il mantra ripetuto in conferenza stampa e oggi affisso per le strade della città.
Incontro per caso Spalletti quasi due anni fa su un Frecciarossa Roma-Firenze reduce dalla presentazione a Napoli. All’inizio, da dietro, neanche lo riconosco col suo cappellino. Poi risate e chiacchiere in libertà, favoriti dal fatto di essere soli in una carrozza semi vuota. Avevo conosciuto Luciano al tempo dei suoi scudetti con lo Zenit San Pietroburgo, i primi anni del decennio scorso.
Firenze aveva accolto la squadra campione di Russia e il suo mister in ritiro durante la pausa invernale del campionato. Erano nate chiacchiere amabili nel Salone dei Cinquecento, nella sala di Clemente VII, nel cortile di Michelozzo. E poi il mister e alcuni suoi ragazzi erano tornati a vedere lo spettacolo del calcio storico in piazza Santa Croce.
Ci eravamo ritrovati a Roma, lui alla guida dei giallorossi, io impegnato al Governo. Erano gli anni di “Totti sì, Totti no” una storia che divideva in due la città e i tifosi. In una discussione a Palazzo Chigi era stato il più insospettabile, Pier Carlo Padoan, custode rigoroso del Bilancio ma scatenato ultrà romanista, a domandarmi: “Ma tu che lo conosci, perché non chiedi a Spalletti come mai non fa giocare Totti?”.
Andare in trattoria insieme era semplicemente impossibile. E io ho sempre temuto la potenza di Roma: non mi sono mai “attovagliato” nei locali della città fin quando sono rimasto al Governo. Organizzai allora una pizzata a Palazzo. Fissai una riunione con Padoan sul bilancio in tarda serata; nel frattempo il Mister entrava con la sua smart dall’ingresso posteriore di Palazzo Chigi scortato da Luca Lotti. La stampa era depistata alla grande.
Quattro pizze e quattro birre al terzo piano. Il contenuto di quella cena – per me spassosa – lo sveleranno i protagonisti, se mai vorranno. Io so solo che uscendo dissi a Padoan: adesso che ho esaudito il tuo desiderio, mi devi liberare le risorse per tagliare l’IMU prima casa eh. E Padoan fu di parola. Quando l’ho ricordato a Luciano mi ha detto: “Ma sei sicuro che questo si possa scrivere?”. Diamine, Mister! Al massimo prendo un avviso di garanzia io, uno più uno meno che vuoi che cambi?
Quel viaggio in treno dell’estate 2021 arrivava dopo un lungo periodo di inattività per Spalletti, alla fine del rapporto con l’Inter. Per diversi mesi si era occupato di lavorare nella sua meravigliosa tenuta “la Rimessa” nel comune di Montaione, tra vino, prodotti agricoli e una natura così bella da mettere i brividi. Potrebbe essere più conosciuta quella zona della Toscana centrale, è bella almeno quanto il Chianti e la provincia senese.
Il Mister sembrava scottato, almeno nella percezione pubblica, dalla difficile gestione dei casi Totti e Icardi. Gli dissi a bruciapelo: “ma come andrà con De Laurentiis? Non è che litigate? Siete due caratteri forti”. Andrà, andrà. Deve andare. E alla fine è andata con lo scudetto e una città impazzita. Bisogna riconoscere, penso oggi, al vulcanico Aurelio di aver vinto lo scudetto con una gestione economicamente sana della società, tanto di cappello.
“Vedi, te tu eri un rottamatore, ma io sono stato l’aggiustatore, quello che dai rottami ha ricostruito le squadre mettendole in piedi e subito in grado di correre con la velocità dell’alta classifica” mi dice oggi il Mister. E lo scudetto torna a Napoli dopo più di trent’anni. Ma soprattutto lascia Milano e Torino dopo oltre vent’anni. La città sembra non crederci e spopolano non solo sui social i cori in chiesa dove “Il Signore è il mio pastore” viene intervallato da “Sarò con te, ma tu non devi mollare, abbiamo un sogno nel cuore Napoli torna campione”.
Maradona da lassù si starà facendo due risate, magari insieme a quel Massimo Troisi che rideva con lui felice ai tempi di Bianchi e Bigon. Peraltro certe assonanze lasciano sbalorditi. L’ultima volta che l’Argentina ha vinto un mondiale è stata prima dello scudetto del Napoli: era il 1986. E quest’anno, guarda caso, si è verificato lo stesso dopo il successo di Messi e compagni in Qatar. La tifoseria napoletana è sempre stata maestra di ironie. Lo striscione al cimitero per il primo scudetto con scritto: “Che cosa vi siete persi” e quello meno elegante ma comunque eloquente dedicato ai tifosi del Verona che lanciavano cori razzisti contro Napoli: “Giulietta è ‘na z…”.
Il senso dell’ironia lo ha sempre avuto anche lui. Diverso dai napoletani, certo. Ma uno di Certaldo non può non avere la capacità di prendersi gioco del mondo. Luciano usa spesso toscanismi nei suoi messaggi: ritonfa, riborda, giue, sie, noe. Tutte espressioni comprensibili solo per i nativi del Granducato. È un modo di vedere la vita capace di scherzare ma che prende terribilmente sul serio le cose da fare.
Un nostro comune amico, Lucio Presta, mi scrive stupito: “Ma lo sai che Luciano è talmente concentrato che dorme a Castel Volturno?”. Mi sembra impossibile. Con tutto l’affetto per la Campania e per il Napoli, Castel Volturno non è il massimo. Lo chiedo al Mister : “Ma davvero hai comprato un materasso e spesso dormi lì?”. Arriva la conferma. Non riesco a crederci. Ma perché uno come Spalletti anziché al Vomero o a Posillipo ha comprato un materasso e dorme al centro sportivo? “La mattina alle 7 vado a fare colazione con Ciro, il manutentore di Castel Volturno. Preparo la giornata. La storia dell’Italia del dopoguerra, la storia dell’Italia del boom economico, è la storia di chi per ricostruire parte dal dormire in azienda, basandosi sul lavoro, sulle idee e sul coraggio di metterle in atto”.
E poi, mi dice: “È il tempo che dedichi alle cose in cui credi il regalo più bello che puoi fare alle persone. Se ci credi, dedichi del tempo e io a Castel Volturno dedico tutto il tempo, lavoro a non accorgersi che viene notte”. Il tempo che dedichi alla tua rosa, avrebbe detto il Piccolo Principe. Perché il tempo è il bene più prezioso, quello meno recuperabile, come scriveva il filosofo Dietrich Bonhoeffer prima di essere ucciso dai nazisti.
La cosa incredibile di questo Napoli è che ha vinto con il bel gioco. Non ha solo dominato. Ma ha divertito e fatto divertire. Dice Spalletti: “La Juve ha avuto Boniperti che diceva che vincere non è importante, vincere è la sola cosa che conta. A Napoli però c’è stato Maradona che ha vinto mostrando quanta bellezza poteva esserci nel calcio. E noi di quella bellezza non possiamo fare a meno, da quella bellezza non possiamo prescindere”.
Torna spesso la parola “bellezza” nelle parole di Spalletti. Se cercate su Instagram “La Rimessa” trovate un video in cui la bellezza viene richiamata più volta. Ci trovate, anche lì, un mondo. L’immagine dei cartelli dove si indicano contestualmente le direzioni di Sidney e di Avane, frazione del comune di Empoli dove il fratello più grande di Luciano, Marcello, gestiva la polisportiva.
È una bellezza che tiene insieme Sidney e Avane, l’alto e il basso, il pallone e la vita. Dove si fanno vini diversi ma tutti con nomi chiari: Bordocampo, Contrasto, Rossodiretto i rossi. Biancajone è il bianco. Tra le linee è il rosè. E qual è il tuo preferito? “Il mio Contrasto”. -Ti pareva- penso io, “ma Rossodiretto è quello migliore, il Supertuscany che vendo meglio”.
Non è solo la bellezza della tenuta, è anche la bellezza in quanto tale. La casa fiorentina di Spalletti è proprio nella via accanto al luogo dove Dostoevskij scrisse la celeberrima frase “Quale bellezza salverà il mondo”. Oggi la bellezza, più banalmente, deve salvare il calcio italiano dalla noia, dalla superficialità, dai giochi di potere. “Dobbiamo fare in fretta” dice il Mister “per salvare il nostro calcio facendolo tornare a entusiasmare e attrarre gli appassionati proprio per la sua bellezza. Per coprire i costi ed essere vendibile ai prezzi che merita, il calcio di oggi deve proporre uno spettacolo di altissimo livello dove la vittoria deve venire dalla qualità e dalla bellezza del gioco”.
È quello che ha fatto questo Napoli che ha vinto senza Maradona. “La differenza che c’è stata tra Maradona e tutti gli altri è la differenza tra talento (gli altri) e genio (lui): diceva Schopenhauer che il talento colpisce un bersaglio che nessuno colpisce, il genio colpisce un bersaglio che nessuno vede”. Ma cosa provi quando pensi che hai vinto anche senza Maradona, gli chiedo. “Penso ai miei ragazzi. Ora sono giovani ma verrà un giorno in cui non lo saranno più e vorranno avere una storia da raccontare a figli e nipoti. Vincere lo scudetto a Napoli senza avere un Maradona ma diventare loro stessi – tutti insieme, come squadra – il Maradona che non c’è”.
Quando visiti davvero Napoli rimani senza fiato. Palazzo Reale, il museo di Capodimonte, l’Archeologico, il Cristo velato, il San Carlo, la Napoli sotterranea, la Sanità, i Quartieri Spagnoli. È una città che ha nel proprio dna qualcosa di magico e contemporaneamente di mai espresso, che ti meraviglia e contestualmente ti inquieta.
Qualche anno fa discussi a lungo con Tim Cook, il ceo di Apple, sul dove aprire la loro Academy italiana. Alla fine si convinse a scommettere su Napoli grazie anche alla spinta del Governo lavoro della Federico II e dell’allora rettore Manfredi. Dopo qualche anno i vertici di Apple mi ringraziarono: non abbiamo mai trovato sede migliore in tutto il mondo. E non per una questione di clima o di accoglienza, ma per la qualità dei vostri cervelli.
Eppure quante occasioni buttiamo via, penso spesso, soprattutto al Sud. Che questo scudetto serva, mi dico. Per il calcio, certo, ma non solo per il calcio. Perché alla fine – anche ripensando alla storia di Spalletti – serve sempre qualcuno che ti dia fiducia e ti dica: provaci.
A lui è accaduto a Empoli. Iniziò ad allenare gli allievi. E si divertivano parecchio, quei ragazzi. Vincere il trofeo Nereo Rocco battendo in finale la Fiorentina per gli allievi dell’Empoli, allora in serie C, era più di vincere un derby. In quell’anno il presidente dell’Empoli, Fabrizio Corsi, chiamò Spalletti a sei giornate dalla fine per evitare una retrocessione in serie C2 che sembrava fatta. Spalletti fece il miracolo e torrnò dai suoi allievi. Poi di nuovo la chiamata in prima squadra: ancora una salvezza e poi la cavalcata incredibile. Vittoria del campionato di serie C, vittoria del campionato di serie B, salvezza in serie A.
“Certo, dico io, Fabrizio Corsi è uno che capisce di calcio”. E il Mister di rimando: “Sì, ma non basta. Corsi è uno che capisce di calcio e ancora di più capisce di uomini. Serve gente così”. Serve gente così. Al Napoli l’hanno avuta in quest’anno magico grazie innanzitutto a Luciano Spalletti. Ma serve gente così a Napoli, non solo al Napoli. E serve gente così all’Italia. Gente che capisca di uomini e rilanci sulla bellezza che salva il mondo. E ora è il momento di sconfiggere anche la scaramanzia. E chiudere il sipario su questo straordinario capolavoro del teatro napoletano: lo scudetto numero 3. Che poi il Napoli riparte. E come avrebbe detto Troisi, ricomincia da tre.
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