Aeroporti chiusi e internet off, la rivoluzione non va in tv
“Sparare sulla folla”, l’ordine del presidente Tokayev per reprimere i manifestanti in Kazakistan

Il Kazakistan chiude tutto. Frontiere, social e internet per non far trapelare video e notizie la feroce repressione che il regime sta scatenando sulla folla in piazza. “Sparate a vista e senza preavviso”, è l’ordine dato in tv dal presidente Kassym-Jomart Tokayev.
“Ci sono 20mila delinquenti che hanno attaccato i palazzi pubblici di Almaty – dice nel suo terzo discorso pubblico, da quando è cominciata la rivolta, ringraziando il presidente russo Vladimir Putin per il suo aiuto -. Non negoziamo con questa gente, è assurdo che dall’estero ce lo chiedano. Verrà creata una squadra speciale per dare la caccia a questi terroristi. Chi non s’arrende, sarà eliminato”.
Qualche immagine di quello che sta realmente accadendo è però trapelata. Brevi video in cui si vedono i militari kazaki sostenuti dalle truppe inviate da Mosca, che sparano ad altezza d’uomo. Un giovane a terra, sull’asfalto, colpito e in fin di vita e distese di lenzuoli bianchi che celano le vittime della repressione.
Il ministero dell’Interno, dopo aver parlato fino a giovedì sera di diciotto morti tra gli agenti, ammette che ci sono almeno 26 manifestanti uccisi. Le opposizioni sostengono che in realtà le vittime sono centinaia e che la ribellione, placata a fatica nella capitale politica di Nursultan (Astana) e in quella finanziaria di Almaty, prosegue senza sosta nel resto del Paese, specialmente nelle lontane province occidentali.
L’ordine è stato ristabilito quasi ovunque dice Tokayev che accusa “forze dall’estero” di fomentare quelli che chiama “terroristi”. Ma l’aeroporto internazionale di Almaty per ora rimane chiuso. Le truppe inviate da Putin, in risposta alla richiesta d’aiuto di Tokayev, si sono dislocate in punti nevralgici come le stazioni tv, i ministeri, il centro spaziale russo di Bajkonur.
Un intervento militare previsto dal trattato di sicurezza che lega alcune delle vecchie repubbliche sovietiche (Russia, Armenia, Bielorussia, Tagikistan, Kirghizistan e appunto Kazakistan), una riedizione del Patto di Varsavia dei tempi della Guerra fredda. Lo stesso patto invocato in Bielorussia dal dittatore Lukashenko, nel 2020. E che stava per essere applicato, un anno fa, anche nella rapida guerra fra Armenia e Azerbaigian per il controllo del Nagorno-Karabak.
Il Kazakistan è diventato, in queste ore, un protettorato russo e il Cremlino fa sapere che “l’operazione di pace – ovvero il tempo necessario a reprimere le rivolte per il carovita e contro un regime trentennale – durerà almeno un mese”. Nel frattempo anche gli Stati Uniti avvertono Mosca: “Vigileremo sul rispetto dei diritti umani”.
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