Il “discorso educativo”, oggi, versa in una condizione comatosa: se aprissimo una finestra sulle famiglie, le troveremmo come minimo disorientate. Ma dalla scuola non giungono segnali confortanti: l’ultimo episodio limite di Castellammare di Stabia – la spedizione punitiva di una trentina di mamme, papà e nonni degli alunni nei confronti di un’insegnante di sostegno – oltre a offrire uno spaccato di violenza e di sottocultura specifiche, dice anche qualcosa di più generale: un tempo, esisteva un patto educativo tra genitori e insegnanti, uniti – nella differenza dei ruoli – nel comune obiettivo di formare i ragazzi, di dare – letteralmente – una “forma” alla loro vita.

Oggi, accade che – da una parte – questa alleanza si è fratturata, per cui i genitori sono alleati non più con gli insegnanti ma con i figli. E dall’altra che l’isolamento degli insegnanti comporta il fatto che qualunque loro azione, con una finalità educativa rivolta agli allievi (per restare nel caso citato, la sospensione da parte dell’insegnante di un dodicenne sorpreso a fumare), venga vissuta dalla famiglia come un abuso di potere o un’ingerenza. Insomma, come li ha definiti tempo fa Massimo Recalcati, “i genitori tendono a fare i sindacalisti dei figli”. Ma per un altro verso, a rendere il ruolo dei docenti paradossale, ci sono le famiglie che spesso non riescono a esercitare la propria funzione educativa, o per incapacità oppure per mancanza di responsabilità. Di fatto, dunque, la scuola cerca di riempire il vuoto educativo lasciato aperto dalle famiglie. E così, da un lato, i docenti sono accusati di abuso di potere, dall’altro li si delega al ruolo di educatori.

Come se ne esce? Mantenendo un canale di comunicazione positiva all’interno delle famiglie, assicurano gli esperti: famiglie che, nelle situazioni più conflittuali, possono ricorrere alla terapia familiare e al parent training, un programma di stampo cognitivo comportamentale rivolto ai genitori per migliorare la gestione di comportamenti problematici in famiglia. Ma nella gran parte dei casi, basterebbe scegliere un linguaggio diverso. Quello che lo psicologo Marshall Rosenberg definiva “linguaggio giraffa”: col suo collo molto lungo, la giraffa ha una visione più ampia del mondo che la circonda, il che aiuta a condurre uno stile di comunicazione non violenta che avvicina i codici di ciascuno e migliora la relazione. A proposito di codici, Neil Sahota consulente per l’intelligenza artificiale delle Nazioni Unite ha stilato per Forbes una breve lista ragionata per migliorare la comunicazione tra genitori e figli anche grazie all’IA.

Un’avvertenza critica: nessuna delle soluzioni proposte di seguito è risolutiva ma certamente può essere usata come “facilitatrice”. Per esempio, nelle conversazioni familiari: “Non si tratta”, dice Sahota, “di sostituire il calore dell’interazione umana, ma di arricchirla con intuizioni e supporto. Immagina un sistema di intelligenza artificiale che comprenda lo stile di comunicazione di ogni persona in base ai valori, al livello di impegno, alla scelta delle parole”: bene, esiste già attraverso strumenti di IA come Cyrao.ai, che ha sviluppato un motore di intelligenza artificiale che comprende la neurolinguistica per aiutare a comunicare in modo più efficace in base alle persone specifiche coinvolte nella relazione.

Il secondo assist che il consulente aziendale di fama mondiale ci offre, è l’invito a “capire meglio i nativi digitali”: dice Neil Sahota, “Family Link di Google è un esempio di come l’IA possa promuovere sane abitudini digitali”. Questa app consente ai genitori di monitorare e gestire l’utilizzo del dispositivo da parte dei propri figli, impostare limiti di tempo sullo schermo e guidarli verso contenuti appropriati. Non si tratta di sorveglianza, ma di guidare i bambini nel mondo digitale con una mano gentile e informata. Per i bambini con esigenze speciali, poi, la comunicazione può essere una sfida. L’IA sta svolgendo un ruolo cruciale nell’abbattimento di queste barriere. App come Proloquo2Go utilizzano l’intelligenza artificiale per dare voce ai bambini non verbali, facilitando la comunicazione tramite simboli e testo-voce.

Non rinunciare, infine, al ruolo degli assistenti virtuali nella gestione della famiglia, come Alexa di Amazon o Google Assistant – che impostano promemoria per le riunioni genitori-insegnanti, aiutano con i compiti o addirittura raccontano storie della buonanotte – porta un senso di organizzazione e facilità nei frenetici programmi della vita familiare. E perché non costruire l’intelligenza emotiva anche per il tramite dell’intelligenza artificiale? Strumenti come DragonBot del MIT sono progettati per insegnare ai bambini l’empatia e le abilità sociali. Queste interazioni, sebbene mediate dalla tecnologia, sono inestimabili nel favorire la loro crescita sociale ed emotiva. L’integrazione dell’IA nel tessuto della vita familiare è un viaggio di esplorazione e adattamento in cui non deve mai mancare il tocco umano: l’obiettivo è mantenere una connessione. Non alla Rete ma gli uni agli altri.

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Ho scritto “Opus Gay", un saggio inchiesta su omofobia e morale sessuale cattolica, ho fondato GnamGlam, progetto sull'agroalimentare. Sono tutrice volontaria di minori stranieri non accompagnati e mi interesso da sempre di diritti, immigrazione, ambiente e territorio. Lavoro in Fondazione Luigi Einaudi