La ‘ndrangheta non esisterà più in Calabria, per ora solo sul versante cinematografico, ma è il primo passo. Il presidente della Calabria, Nino Spirlì, nominando il direttore della fondazione Calabria film commission, ha detto: «Fino a oggi abbiamo ospitato mortificanti produzioni venute in Calabria per girare scene di ‘ndrangheta, malaffare e malavita, offendendo questi territori e la nostra gente. Sono sicuro che la nuova Film commission saprà, invece, offrire un’immagine della Calabria onesta, amante della legalità, bella per natura, ricca di cultura, corposa nel carattere delle proprie genti, che sono un insieme di tanti popoli. Quello calabrese è un popolo variegato e che, si può dire, rappresenta una buona parte del mondo, non solo del Mediterraneo».

Ha pure aggiunto che: «Da questo momento in poi, in Calabria si parlerà di cose belle, di amore, sentimenti e buoni propositi». È una vecchia idea della politica, che torna spesso, in Calabria fa quasi sempre parte del programma politico regionale: il problema dei problemi è solo di immagine. Ci fosse un racconto edificante i calabresi avrebbero immediatamente un lavoro, scuole, ospedali, strade, giustizia, treni e pure la metropolitana si farebbe benché non serva. E forse più che un’idea è il solito vizio della politica di deresponsabilizzarsi, ché per tutti i governi repubblicani in Calabria non si poteva far nulla perché c’era la mafia, e per le giunte regionali non si può far nulla se non si elimina l’immagine negativa della Calabria.

Eppure, qualche giorno fa, anche il presidente ff allungava il passo per tenere la corsa di procuratori e ministri, a Lamezia Terme, nell’inaugurazione dell’aula bunker più grande d’Europa. Le “immagini” sono andate dappertutto, e ci si può immaginare cosa sia passato in testa a chi le abbia viste. Il cinema che parla di mafia nuoce gravemente alla Calabria: è stra noto che i problemi siciliani siano nati col Giorno della Civetta, le contraddizioni americane siano esplose col Padrino, e fra C’era una volta in America e Quei bravi ragazzi, gli Stati Uniti non ne siano usciti benissimo. E, in genere, il racconto drammatico nuoce sempre a una terra, al suo popolo: i racconti di vampiri hanno tenuto nel sottosviluppo la Romania, quelli sull’Ira hanno condizionato lo sviluppo dell’Irlanda. Crediamo tutti a babbo natale perché a ogni dicembre arriva il cine panettone dei Vanzina. Che poi è vero che sulla Calabria si sia innestato un racconto orribile, falso, che nuoce a quella terra poiché l’immagine si fa sostanza. Ma più che al cinema bisogna guardare alla sostanza dei problemi, alla loro reale esistenza, e anche al panorama mediatico complessivo che ha confezionato per la Calabria il ruolo di elemento consolatorio, di pietra di paragone negativa: “per quanto stiate male, in Calabria è peggio”. Racconti belli, edificanti, anche solo normali, sulla Calabria, non vanno di moda.

Nessuno dei passeggeri che salgono in fretta, sui treni della linea verde, metro 2, che attraversano in pochi minuti Milano, si vada a nord o a sud, sa che li costruiscono le maestranze della Hitachi di Reggio Calabria, e saranno tutti di Reggio i treni che percorreranno la linea blu, la 4, la nuova tratta metropolitana che porta a Linate. E nemmeno gli abitanti di Padova pensano alla Calabria, non lo fa Zaia che inonda i social con la magnificenza delle illuminazioni natalizie di Padova che la hanno trasformata in una “città di stelle”, con la riproduzione degli astri di Giotto e Galileo sui palazzi storici del centro, da Piazza delle Erbe, a quella dei Signori, della Frutta. Per una volta, le luci intermittenti che illuminano il quartiere Archi di Reggio Calabria, non sono quelle sopra i tetti delle volanti.

Le proiezioni luminose architetturali e il relativo “mapping statico” ad elevatissimo contenuto tecnologico di cui Zaia si vanta sono stati realizzati ad Archi, quartiere di Reggio Calabria, dalla Goboservice, un’azienda con quaranta maestri reggini che dentro un quartiere problematico producono una gioia luminosa che gira in tutto il mondo, in Italia da Trento a Piacenza e poi in giù, fino a tornare al quartiere Archi. Storie così, in realtà, ce ne sarebbero svariate. Nessuno le racconta, forse perché non interessano, o non sono funzionali a qualche narrazione come le straordinarie vicende legate alle retate antimafia che si ripetono nelle albe calabresi e riscaldano il cuore a chi sta lontano dalla Calabria e rinnovano la fama di cavalieri impavidi. Storie che dovrebbero entrare nel racconto complessivo di una realtà, ma che non possono imporsi per decreto. Perché il cinema è solo cinema buono o cinema cattivo, le pellicole che lavorano su commissione fanno parte di un altro settore.

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E' uno scrittore italiano, autore di Anime nere libro da cui è stato tratto l'omonimo film.