Quel giorno d’ottobre del 1957, io avevo compiuto diciassette anni ed ero da poco diventato un fervente comunista dopo aver divorato l’appassionante biografia di uno che era fuggito dal comunismo, mio padre fece irruzione nella mia camera come una furia: “I russi hanno fatto un satellite artificiale. Sono avanti a tutti e presto verranno qui”. Mi guardò come se anch’io facessi parte del grande complotto contro l’Occidente, con lancio di satelliti intorno alla Terra. Avevo letto Ho scelto la libertà di Viktor Andreievic Kravscenko che – fervente rivoluzionario leninista – aveva preferito chiedere asilo all’America e diventare con il suo libro un fortissimo strumento di propaganda, piuttosto che essere mandato ai lavori forzati o fucilato come i suoi superiori fra cui il celebre Grigorij Ordzonikidze, un fedelissimo di Stalin che lo stesso Stalin costrinse al suicidio.
Il fatto è che quel libro era bellissimo, appassionato e anche se raccontava nei dettagli i crimini di Stalin, restava l’opera di uno che ci credeva. E così io, adolescente in un’epoca in cui si viveva solo di libri e qualche film al cinema, mi dichiarai comunista con grande disappunto in famiglia. Quando si seppe del satellite (un satellite! umano! anzi comunista! intorno alla Terra!) chi stava per i russi saltava e ballava di gioia, chi era anticomunista si sentiva depresso e ansioso. Gli americani, spinti dalla loro stampa liberal, conclusero subito che tutto il loro sistema scolastico era sbagliato, che bisognava gettare nella spazzatura il loro sistema di education dalle scuole medie all’Università e che bisognava studiare il sistema russo che aveva dimostrato di essere vincente.
Sputnik, come imparammo subito in russo vuol dire “compagno di viaggio”, ma il significato di quella parola si trasformò subito in un altro: Sputnik equivale a “successo trionfale e inaspettato” della Russia sovietica. Dunque nessuna meraviglia se il nome dell’antico satellite è stato scelto da Putin per suggerire al mondo che “ancora una volta” la Russia stupisce il mondo e trionfa su ogni altra nazione grazie all’ingegno dei suoi scienziati, nel caso del vaccino, virologi e biologi. Il poeta italiano e premio Nobel Salvatore Quasimodo compose una fortunata lirica in cui dichiarava che un nuovo dio l’uomo aveva aggiunto altri astri, al firmamento uscito dal big bang. Tutte le forze socialiste del mondo, anche se anticomuniste, si sentirono coinvolte in quel successo perché sembrava ovvio che un risultato tanto impressionante e addirittura cosmico, non poteva che essere stato raggiunto da un sistema superiore per intelligenza, organizzazione, coraggio e capacità. Il colpo fu dunque enorme e per ottime ragioni.
Molti anni dopo lessi la dettagliata intervista agli scienziati sovietici che avevano messo in orbita lo Sputnik ed erano molto modesti e spiritosi nel loro racconto pieno di empiriche incertezze e colpi di fortuna arricchiti da un tocco di genio creativo come quello di mettere all’oggetto spaziale un aggeggio con le batterie che per qualche giorno emetteva un bip-bip. Al mio amato Kravscenko fuggito a New York dopo aver “scelto la libertà” (l’espressione diventò uno degli slogan della guerra fredda) andò malissimo: si suicidò gettandosi da un grattacielo dopo una lunga depressione, quando ormai la sua fuga non aveva più alcun valore ideologico e propagandistico.
I russi, anzi i sovietici, misero poi in orbita un secondo satellite, stavolta con un povero essere vivente al suo interno, l’involontariamente eroica e disgraziatissima cagnetta Laika dal muso bianco e nero, tutta imbragata in una gabbia di cinture. Anche lei emise i suoi bip finché durarono le batterie del suo cuore di cane.
Oggi un tale esperimento forse farebbe insorgere milioni di animalisti, allora fu considerato un altro gigantesco passo avanti dell’umanità nello spazio, ma non una umanità qualsiasi: si trattava sempre e comunque dell’umanità che aveva prodotto il nuovo uomo, la mutazione ideologica e sociale e dunque anche scientifica e politica, dell’homo sapiens che era rimasto impigliato nelle catene cavernicole del capitalismo borghese. L’uomo finalmente libero di esprimere la sua sete di futuro non era l’uomo borghese, ma l’homo sovieticus. Da allora la parola Sputnik è stata usata e abusata in tutte le salse: esistono catene di prodotti, un’agenzia di stampa e un’intera letteratura che usa il fortunato brand di Sputnik. Ciò che da allora impallidì fino a svanire fu la grande tradizione culturale russa che fra il Settecento e il Novecento aveva donato alla cultura mondiale fra i più grandi capolavori di letteratura, musica, chimica, fisica, biologia, matematica, non è il caso di fare un elenco perché ne mancherebbero sempre decine.
L’ultima volta che la cultura russa ha fatto il botto planetario fu il grande romanzo Zivago di Boris Pasternak, portato in Italia da Feltrinelli. Ma da allora, più nulla di eccezionale: non un brevetto, un computer, una sinfonia, un brevetto farmaceutico (salvo adesso questo dubitabile vaccino Sputnik Quinto per Covid, cotto e mangiato in fretta e furia). La grancassa propagandistica russa in questo momento copre una necessità di fatto: il crollo del prezzo del petrolio ha dissanguato le risorse di quel Paese che produce soltanto ciò che la terra nasconde nel sottosuolo e la popolarità di Putin viene data in costante calo in un mondo dalle alleanze e prospettive incertissime. In questo clima di fragilità, la rievocazione della parola Sputnik equivale forse a una richiesta disperata di aiuto da parte russa, come dire noi siamo qui, esistiamo, guardate, abbiamo perfino fatto un vaccino che ancora non ha alcun valore accertato ma che intanto fa notizia, vi supplichiamo: manteneteci nella zona alta delle notizie, siamo ancora in grado di stupire.
Che dire? Sarebbe davvero una grande notizia sapere che la grande Russia, anziché rivendicare i confini imperiali di Caterina, Pietro e Stalin, riportasse in vita quella borghesia intellettuale anche un po’ matta che prima Lenin e poi Stalin con grande accuratezza sterminarono fisicamente, insieme a una popolazione rurale altrettanto accuratamente ammazzata a milioni di esemplari. Vecchie storie, per carità, ma mai abbastanza ricordate.
Tuttavia se lo spirito del primo satellite a forma di palla con una radiolina che faceva bip-bip è ancora vivo anche sotto forma di quella produzione intellettuale scientifica che per decenni è stata una delle anime della Russia, batta un colpo sul terreno della libera ricerca, dell’umorismo (altra vittima rimasta cadavere), della molteplicità delle opinioni e di tutto ciò che distingue una società che produce scienza, tecnologia, libera ricerca storica e arte, senza dover far ricorso al nome di un vecchio glorioso barattolo che produsse sull’Occidente l’effetto di una pera di adrenalina di cui però si è persa la memoria e lo slancio propulsivo.