Avanti, senza il minimo indugio, con le “porte girevoli” fra pm e giudici. Se qualcuno nutrisse ancora dei dubbi su quale sia l’opinione dei magistrati a proposito della separazione delle loro carriere, sarebbe sufficiente leggere la delibera approvata questa settimana del Plenum del Consiglio superiore della magistratura sul passaggio di funzioni. Il voto compatto dei consiglieri togati al cambio di posto nell’aula del dibattimento è la migliore risposta a chi, come l’Unione delle camere penali che ha al riguardo depositato pure una proposta di legge d’iniziativa popolare, ancora pensa sia possibile uscire da questa anomalia tutta italiana. Il Belpaese, infatti, è l’unico Stato al mondo dove il pubblico ministero ha un potere senza responsabilità. Ciò va avanti ininterrottamente dal 1989, anno in cui venne introdotto il codice di procedura penale di tipo accusatorio, mutuato dagli Stati uniti dove il pm è il capo della polizia giudiziaria. Con una “piccola” differenza. Negli Stati Uniti è elettivo e quindi se non funziona va a casa. In Italia, invece, si sono volute mantenere le garanzie giurisdizionali che esistevano nel processo inquisitorio. Il risultato è noto: indipendenza del giudice con i poteri politici del pm americano. E, soprattutto, con la possibilità di cambiare a piacimento il ruolo nel processo. Alla faccia dell’avvocato dell’accusa.

Il Csm, perfettamente allineato con questa scuola di pensiero, ha accolto l’altro giorno, senza batter ciglio, le istanze di diversi pm che, evidentemente stanchi di chiedere solo le condanne per i loro imputati, avevano pensato che fosse giunto il momento di irrogarle direttamente. Come se si trattasse di una pratica improcrastinabile, Palazzo dei Marescialli ha dato dunque il via libera ai desiderata degli ormai ex pm, senza alcuna discussione. A dire il vero, solo i consiglieri laici, capitanati da Alessio Lanzi, hanno tentato una minima resistenza. Respinta immediatamente dalla casta togata. «Un cittadino oggi può essere accusato da un pm e domani, magari, vedersi giudicato dallo stesso magistrato diventato giudice», ha esordito Lanzi, eletto in quota Forza Italia. «Il Csm ha deciso di farla passare come pratica “urgente” quando invece è una questione che interessa enormemente, a differenza dei flussi tabellari, della pratiche a tutela, del conferimento degli incarichi, l’opinione pubblica», ha sottolineato il professore e avvocato milanese, secondo cui «non si può lasciare tanto automatismo in questi passaggi di funzioni, non essendo pratiche di routine». Eppure il Parlamento per il cambio di funzione aveva previsto tassativamente che servisse «la partecipazione a un corso di qualificazione professionale ed un parere di idoneità da parte del Csm, previo parere del Consiglio giudiziario, acquisite le osservazioni del procuratore generale o del presidente della Corte d’Appello», tutti elementi che, ha aggiunto Lanzi, «non sono stati contemplati in questa delibera». Fra i pm che si sono stancati di fare il pm ci sono anche casi “curiosi”.

Tipo quello di un pm attualmente in forza alla Procura di Milano. Dove ha chiesto di andare a fare il giudice? Al tribunale di Torino. Qual è la Procura competente per legge ad indagarlo nella, per lui, sciagurata ipotesi dovesse commettere qualche reato? Quella di Milano. Quindi i suoi ex colleghi d’ufficio con i quali, verosimilmente, avrà condiviso, oltre il caffè, anche i fascicoli. La domanda del pm milanese non ha suscitato alcun imbarazzo a piazza Indipendenza. Anzi. «Si deve – per le toghe progressiste di Area, compatte nel tacitare le perplessità di Lanzi – favorire il passaggio di funzioni da giudicanti a requirenti e viceversa. In tale modo infatti si migliora la qualità complessiva della giurisdizione». Fra i favorevoli al cambio di funzioni, Piercamillo Davigo. Lui, infatti, da pm di Mani pulite approdò in Cassazione come presidente di sezione. Fine delle trasmissioni.

Giovanni Altoprati

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