Stati Uniti, il maccartismo è finito. Eppure gli Usa restano permeabili alle teorie più estremiste

È stata una vera e propria ondata di fascismo, la più violenta e dannosa che questo Paese abbia mai avuto“, così definì Eleanor Roosevelt il maccartismo. Erano i primi anni ‘50 e il mondo era diviso in due blocchi: da un lato l’Occidente, dall’altro l’Unione Sovietica. Il pericolo comunista era vivo e vegeto, nel pieno della sua forza e gli Stati Uniti, da potenza guida dell’Occidente, erano obiettivo reale dello spionaggio dell’URSS.

Un anonimo senatore del Wisconsin, Joe McCarthy, il 9 febbraio del 1950, durante un comizio, denunciò che 250 funzionari di Stato erano in realtà spie vendute ai sovietici. Una denuncia fumosa che lo condusse però alla ribalta fino alla guida della Commissione per le Attività anti americane.

Iniziò un clima di caccia alle streghe che portò alla stesura di liste nere: si parla di 10.000 persone messe al bando e licenziate. Di 170 arrestate ingiustamente. Pubbliche amministrazioni, ma anche e soprattutto mondo del cinema, della letteratura e dell’arte furono coinvolti in quello che fu un delirio collettivo. Ne furono vittime Charlie Chaplin, Arthur Miller, scienziati come Albert Einstein, messo sotto sorveglianza.

Quegli anni, ci hanno regalato Il crogiuolo di Miller, che paragonò il processo alle streghe di Salem con il clima di allora. Anche Fahrenheit 451, di Ray Bradbury, fu scritto in quel periodo: un romanzo distopico in cui si descrive una realtà dove vige un regime che dà la caccia ai libri, che se scovati vengono bruciati.

Questo clima terminò solo nel 1955 quando McCarthy, sentendosi ormai onnipotente, arrivò ad accusare l’esercito degli Stati Uniti. Questo fu il suo ultimo atto che lo portò, in seguito a una denuncia di Nixon, alla deposizione dal Senato.
Sono passati 70 anni dall’esecuzione della condanna a morte dei coniugi Rosenberg: ferventi comunisti, accusati di essere spie sovietiche e di aver fornito ai russi i segreti atomici degli USA. Il figlio, in un’intervista a la Repubblica di qualche giorno fa, fa emergere una verità diversa: il padre era stato effettivamente una spia dei sovietici ma la madre era innocente. Eppure, morirono entrambi su una sedia elettrica. I figli furono portati dai parenti in un orfanotrofio: in pieno maccartismo, nessuno voleva essere accostato a loro.

Oggi Robert Meeropol racconta che l’FBI arrivò perfino a indagare nella sua scuola una volta morti i genitori: l’FBI che indaga su un bambino, sospettato di anticomunismo. Il maccartismo è finito. Eppure, gli Stati Uniti restano permeabili alle teorie più estremiste.

La contraddizione è evidente: la democrazia più forte e stabile del mondo, è anche quella dove nascono le teorie più illiberali. Pensiamo oggi all’ultraprogressismo woke. Caccia alle streghe verso artisti, scrittori, attori. Liste nere. Censura e licenziamenti.

Gli ingredienti ci sono quasi tutti. La reazione al comunismo ieri, la reazione alla tutela delle minoranze oggi. Anche nella liberale Europa, accade talvolta qualcosa di simile. E allora la domanda da porsi è: fino a dove è lecito spingersi per difendere la libertà, la democrazia o i diritti delle minoranze? La censura è compatibile con una democrazia matura? La risposta dovrebbe essere no. Perché ogni qualvolta nella storia si è giustificata la caccia alle streghe, là è morta la libertà.