Il discorso di Fagnani e i ringraziamenti alla moglie di Gaetano Montanino
Stato più sexy dell’illegalità, la storia di Lucia, l’angelo del killer di suo marito: “Le commemorazioni non servono”
“Lo Stato deve essere più sexy dell’illegalità. In Italia la prigione serve a punire il colpevole, non a educare né a reinserire nella società”. E’ una parte del monologo di Francesca Fagnani nel corso della seconda serata del Festival di Sanremo dove ha portato sul palco dell’Ariston le storie dei giovani detenuti dell’istituto penitenziario minorile di Nisida, a Napoli. La giornalista alla fine del suo intervento, durato circa sette minuti, ha ringraziato i giovani del carcere che hanno preparato con lei il discorso e Lucia, “la moglie di una vittima che sta aiutando questi ragazzi in un percorso di consapevolezza e responsabilità, che è una cosa molto importante”.
Lucia Di Mauro è la moglie di Gaetano Montanino, una guardia giurata uccisa la sera del 4 agosto 2009 in piazza Mercato a Napoli durante un tentativo di rapina da parte di quattro giovanissimi. Volevano impossessarsi della pistola e assaltarono l’auto di servizio sulla quale si trovavano Montanino e il collega, Fabio De Rosa, all’epoca 25enne. Erano armati e iniziarono a sparare dopo che le due guardie giurate rifiutarono di consegnare la pistola. Montanino venne ucciso con otto colpi d’arma da fuoco, De Rosa ferito con sei.
Del commando faceva parte anche un ragazzino di 17 anni, arrestato poche settimane dopo nel porto di Napoli dopo essere rientrato dalla Spagna: era scappato a Valencia subito dopo l’omicidio di Montanino. Quel ragazzino si chiama Antonio e, nonostante la giovane età, era prossimo a diventare papà. Otto anni dopo, mentre stava scontando una condanna a 22 anni sempre nell’istituto minorile di Nisida (ma era prossimo al trasferimento, per limiti di età, nel carcere di Poggioreale), c’è stato l’incontro con la vedova Montanino.
Lucia racconta al Corriere del Mezzogiorno quel giorno, il 21 marzo durante una manifestazione di Libera sul lungomare di Napoli. “Mi giro verso il gruppo degli educatori e vedo questo bambino piangere. Don Tonino Palmese mi dice: non è il momento. Ma io lo avevo guardato negli occhi, tremava. Quando mi si è avvicinato è collassato, e io l’ho abbracciato. Abbiamo pianto insieme per un tempo infinito. Poi gli ho detto “fammi una promessa: facciamo insieme questa battaglia di legalità”. Dopo un anno il magistrato per la prima volta ha attivato un rapporto di riconciliazione tramite mediazione penale. Ma sa cosa abbiamo scoperto? Che a Napoli non ci sono mediatori, è un servizio che non esiste”.
Antonio grazie a Lucia ottiene pochi mesi dopo la libertà vigilata e va lavorare in un bene confiscato intitolato proprio a Gaetano Montanino “perché nessuno lo voleva”. “Mi chiamo Antonio e nella mia vita ho fatto tanti errori – raccontò a Repubblica anni fa – Ma ho promesso a Lucia, il mio angelo custode, di uscire dalle tarantelle. Lavoro con i disabili e non c’è cosa più bella al mondo che aiutare i più deboli. Lucia mi ha fatto capire tantissime cose. Prima di qualsiasi passo, anche il più piccolo, mi confronto con lei. La ringrazio, ma so che è sempre poco quello che fa per me”.
Ma con la pandemia perde il lavoro: “Ci vediamo e ci sentiamo tutti i giorni. Ora abbiamo trovato un nuovo lavoro. Io non ho fatto con mia figlia quello che faccio per lui – sottolinea Lucia – Sono circondata da tanti amici, ma una mano da parte di un’istituzione mai”.
Una donna forte e coraggiosa la vedova Montanino che dopo aver elaborato in lutto nei primi anni, ha deciso di fare qualcosa di concreto per chi delinque in giovane età. Così ha iniziato a fare volontariato a Nisida con i detenuti. “Se la morte di mio marito servirà per salvare un solo ragazzo ci sarà un senso” ricorda ancora la Corriere del Mezzogiorno.
Ma il volontariato da solo non basta se lo Stato non fa la sua parte, proprio come ricordato da Fagnani nel suo monologo. “Non servono le commemorazioni, servono azioni che danno un senso a noi che rimaniamo – spiega Lucia – Non è questa la strada che può andare bene per tutti, ma per me sì. Tanti ragazzi in me ora vedono una speranza nel futuro. Ma io sono impotente e invece basterebbe poco. Penso da tempo a una proposta di legge: tu Stato, che hai risparmiato 14 anni di carcere per Antonio, investi quelle risorse in borse lavoro. Senza di me Antonio sarebbe tornato in carcere”.
Una speranza quella donata da Lucia all’assassino di suo marito. Una scelta che ha ricevuto critiche: “Molti familiari delle vittime mi criticano, dicono che vado a braccetto con l’assassino di mio marito. Non elaborare il lutto ti trasforma. Sbagliano. Sono sicura che mio marito sarebbe stato contento invece. Mi appoggiava in tutto. Avevamo il sogno di aprire una casa famiglia insieme. Continuo da sola. Ma continuo”.
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