Il doppio turno francese pone una questione politica di fondo. La solitudine dei riformisti, il dissidio di chi si trova tra l’incudine e il martello di una bipolarizzazione forzata è il tema per il quale incontriamo Stefania Craxi -senatrice di Forza Italia, presidente della Commissione Esteri della Senato – alla fondazione Craxi, viene presentato il volume dei discorsi parlamentari di Giacomo Matteotti.

Appena rientrata da una missione importante nel Corno d’Africa, come è andata?
«È stata una missione molto positiva, in una regione strategica al centro di grandi dinamiche internazionali, segnata da una molteplicità di crisi derivanti da conflitti, disastri naturali e siccità. Sono realtà in cui il primo diritto da difendere e promuovere è il diritto alla vita, in un’area in cui si registra il più alto livello di insicurezza alimentare. L’Italia può e deve fare tanto per sostenere lo sviluppo e la stabilizzazione di quei Paesi. È nel nostro interesse. Un interesse che non risponde solo all’esigenza di ridurre i flussi migratori ma anche a ragioni economiche. Ad esempio, siamo il primo Paese per esportazioni in Etiopia».

Il piano Mattei inizia a prendere forma?
«In Africa hanno ben capito che l’Italia non ha, diversamente ad altri attori internazionali, un’agenda nascosta e si sta spendendo con generosità in tutti i consessi internazionali per porre il continente africano in cima all’agenda. Lo si è visto nell’ultimo G7 come nei vertici comunitari. Apprezzano la concretezza delle nostre azioni e la volontà di cooperare con loro da pari a pari, per crescere insieme, senza approcci caritatevoli o paternalistici. Avere la loro fiducia non è un risultato da poco, mi creda».

Il dialogo con l’Africa, con il nord Africa in particolare ci riporta alla memoria uno dei vaticini di suo padre, Bettino Craxi, che ne parlava già sul finire degli anni Settanta…
«Aveva compreso per primo e per tempo quanto il divario tra Nord e Sud avrebbe impattato sul mondo di oggi, creando fenomeni “ingestibili e incontrollabili”. Così è stato e se si fosse perseguito il piano da lui elaborato per conto dell’ONU, il cosiddetto “rapporto Craxi” approvato dall’Assemblea generale, avremmo un presente ben diverso. Quei Paesi avrebbero per tempo preso la strada dello sviluppo; il loro debito non sarebbe finito in mani cinesi, non avremmo l’influenza russa… È una miopia che paghiamo a caro prezzo».

Sulla sicurezza internazionale la cooperazione del mondo arabo, e del Nord Africa è essenziale.
«Non c’è dubbio. Ma non possiamo immaginare forme di cooperazione settoriali, che includano alcuni ambiti e ne escludano altri. In quelle realtà, attraversate da dinamiche complesse e da appetiti crescenti, tutto si tiene insieme. Economia e sicurezza, stabilità e crescita sociale, sono facce della stessa medaglia. Per questo dobbiamo intrecciare un dialogo continuo, consolidare rapporti e dargli consuetudine ad ogni livello. Serve una “diplomazia totale” e un sistema-Paese attrezzato a sostenerla».

La Francia conosce in questo periodo una crisi profonda. Come ne uscirà?
«L’espressione della volontà popolare non può essere sempre scambiata per una crisi di sistema. Un cambio di maggioranza, degli equilibri politici, è parte del gioco democratico. Non vedo nulla di così drammatico. E, comunque, la Francia ha un sistema solido che le invidio, figlio della V Repubblica, che gli consente di affrontare le traversie politiche senza che ciò possa intaccare il funzionamento delle istituzioni. Vedremo cosa sarà, ma anche la coabitazione, che richiederebbe un surplus di politica da tutti gli attori, non è per loro una formula inedita».

Lei, Craxi, riformista, laica, liberale, come voterebbe il 7 luglio in Francia? Ci sono due fronti difficili da digerire…
«Da sempre, a differenza di alcuni leader politici, ho solo e soltanto il passaporto italiano e dal mio ruolo istituzionale guardo con attenzione e rispetto, senza intromissioni, alle vicende politiche di Paesi amici e alleati. Ma, in genere, le accozzaglie non mi convincono, non sono un buon viatico di governo, né tantomeno mi seducono le grida spagnolesche di presunte derive autoritarie che allo stato non vedo. Le soluzioni tecnocratiche, le alchimie di palazzo, sono state un male del nostro tempo, e sono frutto della sconfitta della politica».

Forza Italia esce rafforzata dalle Europee, come manifesterà la sua autonomia nel contesto del governo ?
«Siamo una forza della ragione, responsabile e pragmatica, e questo nostro essere non viene meno nel rapporto di coalizione. Abbiamo una visione per molti aspetti diversa ma complementare con i nostri alleati. Credo che il meccanismo di competizione-collaborazione che stiamo portando avanti giovi all’Italia, alla coalizione e FI. E, tanto sui temi economici, che sulle riforme – penso al dossier giustizia, ma non solo – portiamo il nostro originale punto di vista. Crediamo, ad esempio, che occorra intervenire e facilitare la vita di chi fa o vuole fare impresa».

E ai riformisti dell’ex terzo polo, cosa direbbe? C’è chi è tentato di riunirsi al centrosinistra…
«Ancor più dopo il voto europeo, l’unico spazio possibile per un centro che si dichiara moderato e riformista, che non sia subalterno e di comodo, è nel centrodestra. E quello spazio, culturalmente maggioritario, è rappresentato da Forza Italia, una realtà aperta, plurale e accogliente. Grazie al grande lavoro fatto in questi mesi da Antonio Tajani, siamo una forza in crescita e con grandi ambizioni. Vogliamo parlare agli elettori prima ancora che agli eletti, ma è indubbio che guardiamo con interesse a quei mondi. Sia chiaro, il mio non è un invito ai singoli, anche se ci sono tanti colleghi di quelle formazioni che stimo e di cui condivido l’analisi, ma una prospettiva di lavoro per una iniziativa politica che lanceremo in autunno».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.