La prima parte della riforma della giustizia targata Carlo Nordio è – finalmente – giunta all’ultimo miglio. A meno di imprevisti dell’ultimo momento, oggi pomeriggio la Commissione giustizia del Senato, presieduta dalla leghista Giulia Bongiorno, è convocata per il voto sugli emendamenti al testo, ultimo step prima del definitivo via libera e dopo mesi di interminabili discussioni. Il primo “pacchetto” voluto dal Guardasigilli, atteso dall’inizio dello scorso anno e propedeutico ad un riforma complessiva che dovrebbe includere la separazione della carriere fra pm e giudici, prevede in particolare l’abolizione del reato di abuso d’ufficio, modifiche a quello di traffico di influenze, nuove regole sulle intercettazioni finalizzate a tutelare la riservatezza del terzo estraneo, collegialità per l’emissione delle misure cautelari, inappellabilità delle sentenze di assoluzione. Gli emendamenti sono circa 160 e sono stati presentati dalla maggioranza e dalla opposizione. Grillini, dem e Avs, raccogliendo gli appelli dell’Associazione nazionale magistrati, ovviamente contrari ad ogni modifica di stampo garantista, hanno chiesto che il reato di abuso d’ufficio non venga abolito e che il pm possa continuare ad appellare le sentenze di assoluzione. Il Pd, riguardo l’abuso d’ufficio, ha proposto una modifica del Testo unico degli enti locali del 2000 per separare le responsabilità dei sindaci da quelle dei dirigenti. Una modifica che però non risolverebbe il problema, consentendo ancora una volta ai pm la facoltà di contestare il reato, ipotizzando ad esempio il suo concorso, e lasciando quindi il malcapitato sindaco di turno in balia dei teoremi degli inquirenti.

Molti emendamenti di Lega e Forza Italia riguardano la divulgazione delle intercettazioni e dei documenti d’indagine. Per il capogruppo azzurro in Commissione Pierantonio Zanettin, “chiunque pubblica o diffonde ovvero concorre a pubblicare o diffondere con il mezzo della stampa o con ogni altro mezzo di diffusione atti di indagine, anche parziali o per riassunto, fino al termine dell’udienza preliminare e relativi a un procedimento penale” deve essere punito “con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 7.000 a euro 35.000”. Per la leghista Erika Stefani deve essere invece prevista la responsabilità civile di chiunque abbia “pubblicato o pubblichi intercettazioni relative a soggetti diversi dalle parti”. Sia i forzisti che i leghisti puntano poi a vietare “il sequestro e ogni forma di controllo delle comunicazioni” tra “indagato e il proprio difensore, salvo che l’autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato”. E “le comunicazioni e conversazioni tra difensore e indagato comunque intercettate non possono in nessun caso essere trascritte nemmeno sommariamente”. La violazione di questo divieto deve costituire un illecito disciplinare. È prevista inoltre l’istituzione dell’albo delle utenze telefoniche dei difensori.

Per Mariastella Gelmini, vicesegretaria di Azione, le testate che pubblicano atti coperti dal segreto istruttorio devono decadere “dal diritto all’erogazione di contributi o finanziamenti pubblici per l’anno in cui si è consumata la violazione”. Quando il giudice ha disposto la cancellazione dai supporti informatici o cartacei di “intercettazioni illecitamente pubblicate”, per la Lega ogni giorno di ritardo deve comportare il pagamento di una somma non inferiore ad euro 100 e non superiore ad euro 500 a favore della cassa delle ammende. Sempre Lega e Forza Italia chiedono poi di intervenire sulle proroghe delle intercettazioni, quasi sempre “motivate” con il classico copia e incolla da parte del pm delle informative delle Forze di polizia. Le proroghe “successive alla prima non possono essere concesse se nel corso degli ultimi due periodi di intercettazione precedenti, comunque autorizzati, non siano emersi nuovi elementi investigativi utili alle indagini”, si legge nell’emendamento congiunto. “La motivazione di tali proroghe – prosegue l’emendamento – non può essere fondata esclusivamente su elementi investigativi già utilizzati nel decreto di autorizzazione o in quello di convalida”. Se le intercettazioni infine riguardano persone non indagate, esse non potranno essere trascritte e dovranno essere cancellati i nomi di coloro che sono estranei all’indagine. Il capogruppo del Carroccio Massimiliano Romeo, in questi mesi balzato agli onori delle cronache grazie alle performance social del fratello Filippo detto “Champagne”, ha da ultimo proposto di cancellare la riforma Renzi che fissava l’età pensionabile dei magistrati a 70 anni per portarla a 73.

E sul reato di abuso ufficio è intervenuto ieri il deputato e responsabile giustizia di Azione Enrico Costa per smentire nuovamente il presidente dell’Anm che in una intervista a Repubblica paventava non meglio precisati rischi per l’Italia in caso di sua abolizione per la violazione della convenzione di Merida. “Questa Convenzione viene invocata a sproposito e riguarda i fenomeni corruttivi. Non l’abuso d’ufficio. Ogni Paese è quindi libero di normare la materia come meglio crede”, ha sottolineato Costa, preannunciando che il suo gruppo è pronto a votare la riforma. Se tutto dovesse andare come da programma, e considerato che anche la premier Giorgia Meloni ha dichiarato che la riforma della giustizia è una “priorità”, il testo potrebbe arrivare in aula già il mese prossimo.