Oggi Stefano Rosso sarebbe additato come un pericoloso sovversivo. È il cantautore (da tempo scomparso) della celebre storia disonesta, il brano sull’eterna querelle che all’epoca l’artista definì dell’hashish legalizzato. Era la canzone dal ritornello “Che bello, due amici una chitarra e lo spinello”. Quasi cinquant’anni dopo, il dibattito è più o meno lo stesso. Nel frattempo il fronte della legalizzazione ha dovuto ingoiare parecchi passi indietro. Ora non ci si batte più per legalizzare la cannabis. Obiettivo che oggi equivale a un’utopia.

Il governo Meloni vuole vietare anche la cosiddetta cannabis light. Con un emendamento al ddl sicurezza in esame alla commissione della Camera, intende rendere illegale la coltivazione e la vendita delle infiorescenze, anche di cannabis a basso contenuto di Thc (uno dei più noti principi attivi della cannabis). Di fatto la cannabis light viene equiparata alla cannabis. È un po’ come mettere sullo stesso piano la birra analcolica e quella alcolica. Siamo in campagna elettorale e il governo è evidentemente convinto che lo stereotipo (in questo caso del tutto sbagliato) dei capelloni drogati possa ancora portare qualche voto nel loro elettorato. Un provvedimento che non solo è in controtendenza con quel che sta avvenendo nel resto dell’Europa. E che ancora una volta evidenzia l’arretratezza del nostro centrodestra che proprio non ce la fa a diventare una forza politica libertaria.

Ma l’assurdo è che si tratta di un provvedimento che andrebbe a danneggiare la nostra economia. Verrebbe assestato un duro colpo a un intero comparto produttivo. Dall’oggi al domani sarebbero considerati fuorilegge quattro milioni di consumatori che oggi sono liberi di acquistare cannabis light nei tabaccai o in quei punti vendita sorti un po’ ovunque. E che domani si rivolgerebbero al mercato nero per un prodotto che in larga parte dell’Europa è normalmente in commercio. Proprio recentemente la Corte di giustizia europea ha evidenziato con una sentenza che la cannabis light non può essere considerata stupefacente. Persino l’Organizzazione mondiale per la sanità ha rassicurato sul consumo di cannabis light che in altri paesi europei è considerata una sorta di integratore al pari della caffeina o della teina.

Sarebbero migliaia i contenziosi che si aprirebbero da parte di imprese agricole che lavorano la canapa, di tabaccai, di operatori del settore che diventerebbero spacciatori. Racconta Luca Fiorentino, 28 anni, giovane imprenditore fondatore di Cannabidiol Distribution, azienda leader nel settore della cannabis: «Parliamo di un settore in espansione, in cui sono tantissimi i giovani: l’86% degli operatori nel settore ha meno di 35 anni. Sono numerosi quelli che hanno investito il Tfr dei genitori in pensione per aprire un’attività legale e prevista dalla legge. Dall’oggi al domani, lo Stato dice loro: guardate, abbiamo scherzato, la vostra attività ve la chiudiamo».

Non a caso Giuseppe Libutti, avvocato costituzionalista che segue aziende di settore della cannabis light, ha commentato: «Così come concepito, l’emendamento sembra più mosso da un pregiudizio verso la cannabis e si pone in contrasto con la giurisprudenza che riguarda la canapa industriale. Inutile dire che se dovesse essere approvato, aprirebbe la strada a numerosi contenziosi da parte di chi opera da anni nel settore disciplinato dalla 246 del 2016 e svolge un’attività assolutamente lecita». Migliaia di imprese agricole che stavano fallendo, si sono risollevate grazie alla canapa. Hanno rilanciato l’azienda agricola di famiglia, sono tornati a fare assunzioni. È un settore che sta avvicinando migliaia di giovani all’agricoltura. Per un’attività – ripetiamo – che in Italia è ancora legale. La legge consentiva l’apertura di questi negozi. L’Italia offre ancora una volta, a fondi e investitori esteri, l’immagine di un Paese che favorisce i differenti settori produttivi in base all’ideologia del governo. Non proprio il messaggio più rassicurante per chi desidera investire in Italia.