Il pm indagato per rivelazione del segreto d’ufficio nel caso della loggia Ungheria
Stoccata di Storari alla Procura di Milano: “Non dovevo toccare Amara per il processo Eni Nigeria”

Piero Amara non andava toccato da indagini perché doveva essere convocato al processo Eni-Nigeria. Non andava compromesso, insomma, come testimone, con le dichiarazioni sulla cosiddetta loggia Ungheria. È quanto ha raccontato il pm di Milano Paolo Storari alla Procura di Brescia. Storari aveva interrogato con la collega Laura Pedio Amara e quindi aveva preso quei verbali – nei quali si raccontava della loggia segreta che avrebbe unito membri della magistratura, della politica, dell’imprenditoria e via dicendo – e li aveva consegnati all’allora membro del Consiglio Superiore della Magistratura Piercamillo Davigo. Storari è indagato per rivelazione del segreto d’ufficio.
Quei documenti erano infatti trapelati alla stampa, ai quotidiani La Repubblica e Il Fatto Quotidiano, e al membro del Csm Nino Di Matteo che, a differenza di Davigo che sulla vicenda aveva intrattenuto solo colloqui informali senza segnalare formalmente il caso alle autorità competenti, ha denunciato quei verbali allo stesso Consiglio difendendo il collega Sebastiano Ardita, coinvolto da quei verbali come membro della fantomatica loggia. Amara ha descritto in un’intervista alla trasmissione Piazza Pulita la loggia come “peggio di un’associazione, è un’associazione a delinquere per abuso d’ufficio, non in modo occasionale, ma come sistema”; e sul dottor Storari che “a mio avviso in questa vicenda pecca solo di una ingenuità cosmica rispetto a quello che è successo, per non qualificarlo altrimenti; sono io che mi sono posto il problema che domani c’è un’esigenza di riscontri”.
L’interrogatorio
Storari ha parlato alla Procura di Brescia – perché competente sulla Procura di Milano – dove Davigo avrebbe ricevuto i verbali dal pm, che aveva detto fin dal primo momento di aver trafficato quei verbali per l’“inerzia” con le quali la Procura stava trattando le dichiarazioni di Amara. Storari ha detto che per gli stessi motivi – gli accertamenti sui profili di calunnia – sarebbe stato preservato anche Vincenzo Armanna, ex manager Eni e grande accusatore al processo Eni-Nigeria.
Dicembre 2019. Raccolte le dichiarazioni di Amara sulla loggia, Storari ha detto di aver chiesto ai vertici dell’ufficio diretto da Francesco Greco di poter effettuare le prime iscrizioni nel registro degli indagati e tabulati telefonici a riscontro delle parole dell’avvocato siciliano. Non ci sarebbe stata nessuna risposta: ecco quindi l’“inerzia”. Gennaio 2020. Greco e l’aggiunto Pedio portano a Brescia un passaggio di un verbale di Amara nel quale quest’ultimo gettava ombre sul Presidente del collegio del processo Eni-Nigeria, Marco Tremolada, e su presunte interferenze delle difese Eni sul giudice. Sul caso venne aperto un fascicolo che dai pm bresciani in seguito archiviato.
L’aggiunto Fabio De Pasquale e dal pm Sergio Spadaro avrebbero quindi chiesto ai giudici di far entrare come testimone nel dibattimento Amara e pure su quelle presunte “interferenze” su Tremolada, mentre il collegio era all’oscuro di quelle dichiarazioni depositate a Brescia, come riporta e ricostruisce l’Ansa. De Pasquale e Spadaro sono attualmente indagati a Brescia per rifiuto di atti d’ufficio: ovvero un video registrato di nascosto in cui l’ex manager di Eni Vincenzo Armanna, imputato nel processo e testimone sulle cui dichiarazioni si era basato il processo Eni-Nigeria, diceva ad Amara, ex legale di Eni, di voler “ricattare i vertici della società petrolifera” annunciando l’intenzione di far arrivare ai pm “una valanga di merda” e “un avviso di garanzia” ad alcuni dirigenti.
Il processo Eni Nigeria
Il video sarebbe stato recuperato da un avvocato della difesa in un altro processo, in un’altra città. A marzo scorso il Tribunale di Milano ha quindi assolto in primo grado tutti gli imputati nel processo sulla presunta tangente pagata Eni alla Nigeria, per l’accusa la più grande – per l’acquisizione di Eni e Shell della licenza per esplorare un vasto tratto di mare al largo della Nigeria – mai pagata da un’azienda italiana. Il fatto non sussiste. A processo cinque tra ex ed attuali dirigenti tra cui Paolo Scaroni e Claudio Descalzi, ex ed attuale amministratore delegato della società, e altri manager di Eni e Shell. 15 imputati in tutto.
Anzi, nelle motivazioni dell’assoluzione, depositate dai giudici del Tribunale di Milano, si leggeva come “risulta incomprensibile la scelta del Pubblico Ministero di non depositare fra gli atti del procedimento un documento che reca straordinari elementi a favore degli imputati”. Il ministero della Giustizia guidato dalla ministra Marta Cartabia sul caso ha avviato un’inchiesta e chiesto all’ispettorato di svolgere accertamenti.
Per Storari, dunque, come da lui messo a verbale, si voleva salvaguardare Amara – che comunque non fu ammesso al dibattimento – da possibili indagini per calunnia perché utile come testimone. E allo stesso modo, per non screditare l’accusatore, le prove raccolte sul manager Armanna, tra cui chat falsificate e molto altro, nel fascicolo cosiddetto “falso complotto Eni”, che non vennero prese in considerazione né depositate nel processo.
© Riproduzione riservata