Democrazie in Progress
Storia dei bilanci partecipativi: da Porto Alegre alla Sicilia con ‘Spendiamoli Insieme’
I cittadini che si organizzano per partecipare all’amministrazione del territorio e al monitoraggio dei risultati
I bilanci partecipativi nelle amministrazioni locali non sono più una novità, ma una consolidata realtà e pratica che viene attuata nel nostro Paese e nel mondo per far partecipare attivamente comunità di cittadini alla definizione di una quota degli stanziamenti finanziari, all’interno del bilancio, per investimenti di svariata natura. Ma qual è lo stato dell’arte di questa misura?
Il Bilancio partecipativo nasce compiutamente con la sua prima vera messa a terra a Porto Alegre, in Brasile, nel 1989, con il fine di permettere ai cittadini di partecipare attivamente allo sviluppo ed alla elaborazione della politica municipale. Nel caso di Porto Alegre si è iniziato dal 10% del bilancio comunale riservato alla co-deliberazione dei cittadini, fino ad arrivare gradualmente al 25%.
A livello internazionale, come in Italia, ormai tantissime città portano avanti l’iniziativa del bilancio partecipativo, affiancato sempre più spesso da bilanci “orientati” che si caratterizzano su base tematica, sociale, legati alle questioni di genere ecc. Nel nostro Paese la pratica è diffusa soprattutto nel Centro e Nord Italia, e si affianca ad altre iniziative più mirate, che coinvolgono le categorie e il terzo settore.
Anche la regione Sicilia nel 2014 ha varato una legge sul bilancio partecipativo, che fissa l’obbligo per tutti i comuni siciliani di riservare almeno il 2% del bilancio comunale a progetti che siano previsti dalla definizione di un bilancio partecipativo con la cittadinanza. Purtroppo non in tutti i casi questo strumento funziona perfettamente, con una difficoltà nello spendere quelle risorse dedicate: a tal proposito è nato un osservatorio sui fondi dei bilanci partecipativi, grazie al progetto Spendiamoli insieme del laboratorio di monitoraggio civico Libellula, che controlla l’effettivo buon funzionamento del sistema partecipativo, divulga in materia e sensibilizza le amministrazioni pubbliche su come riuscire spendere di più e meglio e da conto sul suo sito in maniera trasparente e fruibile dei risultati e dei dati comune per comune dell’andamento della misura. Inoltre, stanno lavorando per proporre soluzioni volte a migliorare l’efficacia della legge regionale sulla democrazia partecipata.
Il fatto che i cittadini inizino a sposare cause del genere, organizzandosi per monitorare sul buon funzionamento dei meccanismi di coinvolgimento partecipato, è un cambio di paradigma notevole che porta le persone non solo a lamentarsi per gli errori o le mancanze della politica, ma ad attivarsi quando uno strumento che li vede co-protagonisti per delineare il futuro della propria comunità mostra falle, per farlo funzionare e riprendere in mano i destini del miglioramento delle proprie realtà locali”.
Consapevolezza e informazione riguardo a questi strumenti, per spingere a vararli anche nelle proprie realtà o per farli funzionare veramente, sono il primo passo per un risveglio effettivo della cittadinanza attiva, in tempi di “vacche magre” e dove anche il singolo euro speso male, facendo debito inutile, restituito, rappresenta un delitto verso il benessere diffuso che potrebbe crearsi e il peso che graverà sulle future generazioni, senza considerare la privazione di una più ampia ed effettiva partecipazione democratica.
Rilevo quindi due sviluppi e due potenzialità diverse, per il nostro Paese, attraverso i bilanci partecipativi: il maggior coinvolgimento nella gestione della cosa pubblica che possa aiutare a risvegliare progressivamente un più spiccato senso civico; ma soprattutto come strumento nelle mani dei cittadini del meridione per poter fronteggiare la cultura dello spreco, dell’inefficienza, e muoversi per il riscatto di una terra che, attraverso il coinvolgimento attivo dei cittadini alle decisioni, può forse riscoprire il senso della responsabilità verso le proprie comunità e fungere da pungolo nei confronti delle classi dirigenti adagiate su un modello di governo inefficace e fondato sulla cultura dell’alibi.
Avere una sempre maggiore responsabilità diretta verso un pezzo di futuro delle proprie comunità può rappresentare il germoglio di un risveglio civico diffuso nel nostro Paese.
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