Certo, tenere in pedi, ben disteso un festone del Dna di qualcosa e di qualcuno sparando che regga gli anni e i decenni, è un’impresa antistorica. Ma, almeno, i fondamentali dovrebbero resistere.  Il manifesto di oggi non somiglia minimamente a quello della fondazione – giugno del 1969 – e non si sa che è. Rossana Rossanda, una delle fondatrici, è stata ricoverata qualche giorno fa per un problema cardiaco che speriamo abbia superato egregiamente, ma si sa che aveva rotto con l’attuale redazione che non ha più nulla a che fare con il passato. Cosa resta del vecchio foglio modernissimo, della grande rivista stracarica di intelligenza e di analisi, condotto da persone con cultura, umorismo, storia, sentimenti, conoscenza e una vita spesa bene? Non si sa.

Rossana Rossanda, cominciamo da lei, era una intelligente ragazza di Pola quando la città era italiana, nel 1924. Era affamata di cultura, si laureò a Milano e Palmiro Togliatti la volle proprio a dirigente la sezione cultura del partito comunista. Poi nel ’68 volle capire a fondo le ragioni degli studenti ribelli e scrisse L’anno degli studenti che le portò l’ostracismo del partito intero. I tempi erano maturi, nel 1968 le divisioni cingolate dell’Armata rossa erano entrate a Praga per mettere fine al fragile tentativo del “socialismo dal volto umano” sognato dal segretario comunista Dubcek che fu cacciato dai russi a calci nel sedere e molti carri armati. A Roma il partito non si era proprio schierato coi carristi come aveva fatto nel 1956, solo perché era estate e nella redazione dell’Unità avevano prevalso per qualche ora gli spiriti liberi che avevano emesso qualche critica contro il grande fratello russo, ma senza conseguenze.

Gli altri erano Lucio Magri, Luigi Pintor (il più sottile e feroce polemista del giornalismo italiano) Aldo Natoli, Valentino Parlato, Massimo Caprara (che per anni era stato il segretario personale di Palmiro Togliatti) e i collaboratori stranieri andavano da K.S. Karol, J.P. Sartre, Noam Chomsky e non li si potrebbe nominare tutti. Era gente strafica, gente libera e disciplinata ma divertente, gente capace di osare, inventare, perdere, ripartire, litigare, fare pace e anche dividersi, ma sempre e soltanto con intelligenza. Erano anche belli, alcuni bellissimi, di una bellezza di gente che legge e scrive e pensa e osa. I titoli de il manifesto facevano scuola prima che esistesse Repubblica e anche dopo, il manifesto è stato prima un mensile, poi un movimento politico e un quotidiano che ha sempre fornito ossigeno alla politica. Ha preso posizione spiazzando.

Quando la Rossanda, che di comunisti dell’Est se ne intendeva, analizzò i messaggi dei brigatisti rossi e affermò che rivedeva «l’album di famiglia» del Pci, disse qualcosa di bruciante e sconvolgente perché il Pci si stava dannando per far credere che i comunisti armati delle Brigate rosse fossero una invenzione di servizi segreti nemici, anziché gente della sua gente. Fu solo un esempio, ma scioccante. Il manifesto non nacque per vincere, fu sempre molto minoritario, per rifornire la caldaia della sinistra delle sue energie migliori, le più approfondire e sofisticate. Non è mai stata gente che si accontentasse di liquidare i problemi e le posizioni. Politicamente il movimento finì male, appaiato con i residui del Psiup, a sua volta un residuo del Psi. Ma comunque resistette sempre con feroce eleganza, spiazzando e assumendo punti di vista che agli altri erano vietati. O invisibili. La forma era anche la sostanza, la grafica era liberatoria perché modernissima mentre il Pci rischiava di morire di sclerosi cirillica.

Quel giornale non fece mai il tifo per alcun governo. Non perché i governi debbano fare necessariamente schifo, ma perché un governo – specie se di sinistra – doveva nella mentalità di quegli scontenti intellettuali, essere sempre un passo avanti oltre la banalità della propaganda. Che cosa avrebbero detto le donne e gli uomini de il manifesto di ieri davanti a un governo come quello del signor prof. avv. Giuseppe Conte che un giorno fu presentato da uno che frequentava il suo studio per conoscere attraverso di lui un capo politico che di mestiere accompagnava gli spettatori in tribuna allo stadio? E che fosse così arrivato fino al Quirinale per governare due volte sostenuto dallo stesso Parlamento a geometria variabile, ora con la maggioranza più di destra mai vista prima e subito dopo con quella più di sinistra possibile?

Valentino Parlato avrebbe trovato assolutamente ridicolo ciò che accade oggi, ma avrebbe trovato del tutto sconsiderato un atteggiamento livellante che emerge da il manifesto, che tende cioè a colpire tutti i nemici del governo Conte, mettendoli nello stesso canestro. Ognuno può abbracciare l’avvocato che vuole, quale che sia lo stato dei suoi congiuntivi, ci mancherebbe, ma veramente fa una certa impressione l’attuale perdita di distanza fra quella testata, quel nome, quella memoria e un primo ministro che fino a cinque minuti prima passeggiava lingua in bocca con Matteo Salvini e che adesso, con aria distratta, fa lui la parte di quello coi poteri assoluti. C’è qualcosa che non funziona nella genetica, si avverte il rischio di un ogm su cui sono state trasferite delle sequenze di Rna sconosciuto, un po’ come è successo al virus che si è trovato sul suo Rna robaccia che non gli apparteneva.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.