Il caso
Storia di Antonio Sibilia, il presidente dell’Avellino perseguitato per un saluto a Raffaele Cutolo

Accadde tutto più di trent’anni fa, il 31 ottobre del 1980. Protagonista della storia Antonio Sibilia, imprenditore avellinese di successo nel campo dell’edilizia, presidente della squadra di calcio dell’Avellino, ricordato per il suo attaccamento folkloristico ai colori biancoverdi come era tipico di molti patron calcistici dell’epoca. A quei tempi si stava celebrando a Castel Capuano, vecchia sede del tribunale di Napoli, l’udienza di un processo che tra gli imputati vedeva anche Raffaele Cutolo, boss della Nuova camorra organizzata (Nco), morto per delle complicazioni in seguito ad una polmonite martedì 17 febbraio 2021.
Sibilia prese la cosa più preziosa che aveva, che a quel tempo non era un gioiello o un immobile ma Jorge dos Santos Filho, meglio noto come “Juary”, attaccante brasiliano che avrebbe fatto la fortuna del club fino a portarlo in Serie A, e lo portò da Cutolo. Entrati in aula, sotto lo sguardo incredulo di tutti i presenti, tra giornalisti, forze dell’ordine e magistrati, Sibilia si avvicinò alla gabbia in cui era rinchiuso “o Professore”. Lo salutò con tre baci sulle guance, scambiando rapidamente con lui alcune battute. Poi mandò avanti Juary, che gli porse un pacchetto con dentro una medaglia d’oro da 70 grammi. Un simbolo della società, che da un lato raffigurava la testa di un lupo, e sull’altro portava incisa una dedica: “A don Raffaele Cutolo, con stima”.
“Niente di strano” rivelò Sibilia. “Cutolo è un supertifoso dell’Avellino, il dono della medaglia non è una mia iniziativa, è una decisione adottata dal consiglio di amministrazione”.
La nonchalance del presidente dell’Avellino non fu abbastanza per far passare la cosa inosservata. Del caso se ne interessò la magistratura, con il sostituto procuratore Diego Marmo che aprì un fascicolo per apologia di reato. Ma prima di lui se ne occupò Luigi Necco, giornalista della Rai e inviato nel capoluogo irpino per la trasmissione 90° minuto, che già da tempo stava indagando sui legami tra la società avellinese e la Nco, riportando voci tra calcioscommesse e appalti truffa.
L’inchiesta costò al giornalista la gambizzazione avvenuta per mano degli uomini di Vincenzo Casillo, uno dei luogotenenti di Cutolo, che il 29 novembre 1981 a Mercogliano all’esterno di un ristorante spararono tre colpi di pistola contro Necco. Su un biglietto trovato sull’auto del giornalista c’era scritto: “Volevi fare il criticone?”.
Sibilia finì nel mirino della magistratura e fu arrestato nel 1983 in un maxi blitz anticamorra ordinato dalla procura di Napoli. Fu processato con l’accusa di aver preso parte insieme a Roberto Cutolo, figlio di Raffaele, a un una truffa da 85 miliardi su un appalto per la costruzione di alcuni prefabbricati nell’Irpinia del dopo-terremoto, e di essere il mandante dell’attentato all’allora sostituto procuratore Antonio Gagliardi del 13 settembre 19824. In entrambi i casi fu assolto con formula piena al termine dei tre gradi giudizio.
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