La burocratizzazione dei sentimenti
Storia di Donatella, che per un giudice non può essere infermiera e madre e di altri presunti ‘untori’

Una storia significativa arriva dalla zona di Roma: Donatella ha 39 anni, è madre di due gemelli di dieci anni e lavora come infermiera nel blocco operatorio del nosocomio riunito di Anzio, in provincia di Roma. Un presidio che non ha nulla a che vedere con la pandemia (i casi sospetti finiscono nel vicino ospedale di Castelli Romani) e che non si differenzia per pericolosità da altri luoghi di lavoro. Nei giorni scorsi però un giudice ha stabilito che i suoi figli, in affidamento congiunto presso l’abitazione della madre, devono trasferirsi dal padre perché «esposti – si legge nell’ordinanza – al rischio di contagio epidemico da coronavirus Covid19, a causa della attività infermieristica esercitata presso il Presidio Ospedaliero di Anzio e Nettuno».
Sia chiaro: parliamo di quelli stessi infermieri che vengono celebrati con fastidiosa retorica ad ogni pie’ sospinto dalla narrazione generale, quelli che sono eroi eppure dovrebbero accontentarsi evidentemente della solidarietà pelosa. Donatella non può essere infermiera e mamma, secondo il giudice, e così si è ritrovata a scrivere una lettera disperata al presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
A Giugliano, in Campania, un medico che smonta il 24 marzo dal turno di guardia medica sta tornando a casa e viene fermato da una pattuglia: non credono che sia un medico e lui non ha documenti. Chiede agli agenti di salire in casa per recuperare tutto e dimostrare la sua condizione, è lì a due passi, ma viene sanzionato e messo in isolamento per 15 giorni: perde 5 turni di lavoro. I media locali titolano: “Runner che si professa medico viene multato”. I giornali hanno raccontato anche la vicenda della dottoressa Anna D’Angelillo, medico in formazione specialistica presso il reparto malattie infettive del Policlinico Gemelli dove si occupa di pazienti Covid.
Decide di sfruttare il suo unico giorno di riposo per rimettere in moto la sua auto che non ripartiva, degli uomini della Guardia di Finanza la aiutano a collegare i cavi della batteria e 150 metri dopo viene fermata e multata dalla Polizia: 533 euro di multa da scalare dal suo stipendio da dottoressa in prima linea, come recitano tutti. 533 euro da scalare dal suo stipendio di sacrifici. Dura la vita degli eroi in periodo di lockdown ma dura la vita anche del buonsenso: tutti presi dalla caccia all’untore si assiste a un pericoloso strabordamento dell’attività di controllo che si trasforma addirittura in una caccia all’uomo e apre scenari inquietanti che passano in sordina.
Ci sono gli elicotteri che si alzano in volo a Palermo, zona Sperone, per sventare una pericolosissima grigliata sul tetto (e per rendere tutto ancora più goffo quelli rispondono sparando fuochi d’artificio), ci sono gli agenti delle forze dell’ordine che si improvvisano maratoneti per inseguire corridori sul lungomare, ci sono addirittura gli elicotteri della Guardia di Finanza che ospitano i giornalisti di Barbara D’Urso per offrire alla pancia dei telespettatori un inseguimento in stile Oj Simpson di un povero sventurato che ha la sfortuna di essere in spiaggia in quel momento e che viene raccontato come un pericoloso malfattore.
La sindaca di Roma Virginia Raggi, tutta fiera, ci ha tenuto a farci sapere che il giorno di Pasquetta hanno scovato un pericoloso runner sull’Appia antica che avrebbe «tentato la fuga» (come se fosse la telecronaca di un film poliziesco di quart’ordine) ed «è stato individuato grazia a un drone». La quarantena nazionale ha svegliato i più bassi istinti, che erano già sveglissimi, di chi ha bisogno di mirare un colpevole qualsiasi su cui vomitare tutta la frustrazione dello stare in casa.
Una deriva pericolosa perché demanda agli agenti di polizia anche la valutazione di ciò che è necessario o no: così ci ritroviamo con poliziotti che controllano scontrini e sacchetti della spesa, passeggiate con il cane che si trasformano in inseguimenti, improvvisati delatori che si appostano sui balconi come cecchini e una narrazione generale che sembra non riuscire a staccarsi dai irregolari e non sanno rivolgere lo sguardo ai temi che dovrebbero essere più scottanti in questo momento.
L’organizzazione della riapertura del Paese sembra interessare molto meno della grigliata in giardino, la mancanza di tamponi e di tracciamenti dei contagiati è diventato un argomento riservato ai tecnici che annoia l’opinione pubblica. La burocratizzazione dei sentimenti, delle relazioni e dei bisogni personali sembra essersi perfettamente compiuta: la paura usata come narcotizzante generale sta funzionando perfettamente!
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