Il racconto
Storia di Fatima, sopravvissuta in Africa sfida la vita nell’inferno di Napoli

Aveva scelto l’Italia per cominciare una nuova vita lontano da guerre, fame e povertà. Nella Napoli travolta dall’emergenza sanitaria e dalla crisi economica, invece, Fatima e la sua famiglia hanno trovato un destino fatto ancora una volta di emarginazione e solitudine. Nigeriana, 28 anni, sposata e madre di due figli di tre e sei anni, Fatima è una dei circa 100mila “immigrati invisibili” che si trovano in Campania: disperati senza lavoro, senza permesso di soggiorno e ora, davanti al Covid, senza uno straccio di sostegno da parte delle istituzioni nazionali e regionali. «Sono incinta, non ho un lavoro e un soldo in tasca, ma non perdo la fede», racconta Fatima con gli occhi profondi, neri, scuri e ancora gonfi di terrore.
Il percorso della 28enne e e dei suoi familiari verso l’Italia è cominciato quando hanno affidato le loro vite ai trafficanti di esseri umani. L’addio alla Nigeria, quel misto di angoscia e di speranza, l’arrivo in Libia in attesa della partenza alla volta di Lampedusa. Nel grande Paese nordafricano il primo choc: Fatima, marito e figli vengono sequestrati e condotti dai libici in un campo di detenzione. A distanza di qualche mese, la giovane non riesce ancora a descrivere la vita in quel luogo maledetto, dimenticato da Dio e dal mondo. Forse perché ogni parola equivale a rivivere urla, botte, insulti, abusi, violenza inaudita. «Non riusciamo a quantificare la durata della prigionia – aggiunge Camilla Iovino, segretaria confederale della Uil Campania con delega all’immigrazione, che ha preso a cuore la situazione della 28enne nigeriana – Fatima non lo sa, non ricorda, non lo dice. Però ricorda la fame, la sete, le umiliazioni, la paura di quei giorni interminabili quando era sempre notte e i suoi bimbi piangevano ininterrottamente».
Poi, all’improvviso, la liberazione. La famiglia di Fatima lascia la Libia e sale a bordo di un gommone insieme ad altre venti, trenta, quaranta o forse più persone. Sulla piccola imbarcazione non si riesce nemmeno a stendere le gambe.
La traversata è tremenda, il vento freddo soffia forte e della terraferma non vi è traccia per giorni e giorni. Il mare urla, si arrabbia, le onde iniziano a farsi sempre più alte e in un attimo travolgono il gommone a bordo del quale viaggia Fatima e un altro che pure era diretto in Italia. Quest’ultimo affonda, lasciando che le vite dei passeggeri vengano inghiottite dal mare. Il primo, invece, riesce a superare la tempesta senza conseguenze drammatiche. «In lontananza si sentivano le urla dei miei compagni di viaggio finiti in mare che imploravano aiuto – continua Fatima – Poi, dopo qualche ora, sulla superficie c’erano decine di cadaveri: una scena che non dimenticherò mai». Fatto sta che, di lì a qualche giorno, il gommone arriva a Lampedusa restituendo a Fatima, a suo marito e ai figli qualche sprazzo di speranza in un mare di dolore. Lì decidono di scappare, in preda al terrore, e di sottrarsi alle autorità che li attendono per condurli nel centro di accoglienza. Per loro cominciano la vita di strada e un nuovo viaggio della speranza, stavolta in direzione Napoli. Qui, nel capoluogo campano, Fatima ha una sorella che l’aspetta ed è pronta ad aiutarla a ricominciare. Il marito trova lavoro come magazziniere, mentre lei diventa una venditrice ambulante. Non hanno un regolare contratto di lavoro né il permesso di soggiorno: riescono a prendere una casa in affitto, a pagare le bollette e a fare la spesa. Ma per lo Stato italiano sono “invisibili”, persone che semplicemente non esistono e, di conseguenza, non possono beneficiare di alcun tipo di assistenza.
Quando la vita sembra aver preso finalmente una piega diversa, però, ecco i nuovi problemi. Il marito di Fatima viene coinvolto in una rissa e finisce in carcere. La 28enne resta sola con due bimbi e un terzo in arrivo. A tutto ciò si aggiunge la crisi Covid. Risultato: senza marito, con due figli da accudire e una gravidanza da portare a termine, senza una fonte di reddito, Fatima viene cacciata di casa dal proprietario ed è costretta a “rifugiarsi” presso la sorella nella periferia di Napoli. Per lei nessun sostegno né di carattere economico, come sarebbe necessario per una donna costretta a crescere tre figli da sola, né di carattere sanitario, come sarebbe doveroso in un momento storico in cui la pandemia miete migliaia di vittime al giorno. Solo associazioni e sindacato si prendono cura di lei come di quei circa 100mila “invisibili” che rappresentano quasi un terzo degli stranieri che vivono in Campania. «Storie come quelle di Fatima sono un colpo al cuore – concludono i referenti della Uil – Il nostro impegno non basta: servono misure che consentano a migliaia di disperati di vivere in sicurezza a Napoli e di integrarsi nella nostra società anche a dispetto del Covid».
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