Giornata mondiale della disabilità
Storia di una figlia che non avrà mai una vita “normale”, proprio come noi
Da diverso tempo, attraverso la pagina “Sirio e i tetrabondi”, Valentina racconta la vita di uno dei suoi due figli, Sirio, bambino di sette anni gravemente disabile. Facendo direttamente parlare lui, permette così a tutti noi di comprendere – almeno in parte – la difficile quotidianità alla quale intere famiglie, spesso abbandonate dallo Stato, sono costrette. La storia di mamma Valentina, papà Paolo, Sirio e suo fratello Nilo è recentemente apparsa su giornali e siti di tutto il mondo. In questa recensione del libro di Anna Claudia Cartoni, Valentina usa ancora lo stesso stile.
Oggi, giornata internazionale delle persone con disabilità, voglio raccontarvi una storia, una storia che in molte cose si può sovrapporre alla mia: il racconto di una vita non certo fortunata, iniziata con una scalata ghiacciata, senza molti appigli da afferrare per mettersi in salvo. Voglio raccontarvi le emozioni travolgenti che il libro Irene sta carina, una vita a metà (ed. Harpo) ha portato dentro di noi: righe di una madre mai arresa e lucida, righe di una madre che parla come la mia, che come la mia viene dilaniata dal dolore di una figlia che non avrà mai una vita “normale”, una figlia che mai assaporerà la “stupefacenza” della libertà.
Anna Claudia Cartoni, insieme al suo compagno Fernando, ci raccontano due anni interi dentro una rianimazione, interrotti solamente da una breve illusione di felicità, proprio come noi. Anche Irene, come me, ha il suo giorno maledetto, in cui il sole si è spento e tutto è mutato per sempre, un giorno in cui il sole si è allontanato cambiando per sempre la temperatura del cosmo; in cui le mura di casa, conquistate da poco e a fatica, dopo mesi di ricovero iniziale per una serie di interventi e successive complicazioni, diventano ancora una volta un miraggio sfocato, per un tempo sconosciuto.
Due anni. Due anni di vita dentro una rianimazione non sono facili da raccontare, ma Anna Claudia ha la capacità di farci sentire suoni e odori di quei mesi in un limbo devastante, in un non luogo dove il tempo sembra fermo e invece scorre lo stesso, ignaro delle fatiche di chi aspetta davanti quelle porte. Vite di attesa per poter assistere i propri figli, vite di genitori e metà che non possono abbracciare, non possono addormentare, non possono cullare, non possono condividere. Vite di genitori che assistono alla sofferenza silenziosa dei loro figli. Vite sospese tra continui alti e bassi, di tubi e ventilazioni meccaniche, di crolli e risalite, di incontri.
La rianimazione, le sue sale d’attesa, gli occhi degli altri genitori, i passi contati verso il bar, o verso una terrazza che osservi la città scorrere regolarmente: questo libro ci racconta anche quel senso di protezione che quei luoghi regalano a questi genitori a metà, quel senso di protezione che è l’ennesima cosa che si sbriciola quando poi si torna a casa sul serio, con una vita tutta nuova da comprendere. Ci racconta l’importanza degli incontri, della condivisione con le altre famiglie, l’importanza della conoscenza che permette a questi genitori di imparare a essere tante cose: essere un po’ chirurghi, un po’ neuropsichiatri, un po’ rianimatori, fisioterapisti, logopedisti. Vite mutate per sempre che non si possono arrendere. Vite per sempre diverse che non hanno la possibilità di crollare, che devono mantenere la forza della propria presenza sorridente accanto ai loro figli in trincea, che lottano per afferrare la vita in qualche modo.
Anna Claudia non si affida al miracolo, proprio come noi. Anna Claudia affida il corpo e il sorriso e gli occhi di sua figlia, alla tenacia e alla lotta, alla capacità di saper chiedere aiuto senza sentirsi sconfitti, all’umiltà coraggiosa di capire che l’amore di una famiglia non può bastare per riuscire ad afferrare dignitosamente la vita. Irene torna a casa con un’ambulanza e una grande equipe, che ancora è lì, accanto a lei, dopo quasi 15 anni: questo libro ci racconta chiaramente l’importanza dell’assistenza infermieristica domiciliare, ci racconta come dovrebbe essere la gestione di un paziente simile, per anni, tra le mura della sua casa e non solo, cosa vuol dire prendersi in carico una vita come Irene, e a chi compete.
Un libro che ci racconta le battaglie quotidiane per ottenere diritti che permettano non solo a Irene, ma anche a tutta la sua famiglia, di resistere, di non annullarsi come essere umani, di essere parte di una comunità. Un libro che ha il coraggio di raccontare l’importanza di evadere, di trovare i propri spazi, di saper ricaricare le proprie energie, necessarie per la vita d’eterno genitore che si percorre. La mamma di Irene definisce “il mondo degli altri” quello che scorre normale, a velocità supersonica, senza necessitare d’aiuto per i gesti più semplici, come è stato anche respirare: un mondo degli altri che rimarrà sempre tale ormai, che non potrà più essere completamente compreso e che sicuro non è in grado di comprendere. Ma che sia Irene che la sua famiglia hanno diritto di vivere e respirare a pieni polmoni, anche se per farlo si passa per una tracheostomia.
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