Quando ho iniziato a scrivere questa serie di articoli dedicati agli anni della nostra storia repubblicana, sapevo che mi aspettava un momentaccio: raccontare il 1956 e renderlo per quanto possibile palpabile, comprensibile a chi non c’era e a chi fosse nato anche mezzo secolo dopo. Per me il 1956 è ieri. Tutto il film è da allora nella mia mente. Mia e dei miei coetanei o di quelli che avevano venti, trent’anni o poco più e che non ci sono più perché così va il tempo e va la storia. Tutti gli anni sono memorabili ma il 1956, ad undici anni dalla fine della guerra, fu quello più feroce. Non soltanto per quel che accadde in Ungheria e nel Medio Oriente, ma per il fatto che per la prima volta lo vedemmo – in bianco e nero sfarfallante – sullo schermo di quel nuovo coso che era il televisore, finalmente installato in tutte le case italiane: un aggeggio tondeggiante, pesante, su cui si accendeva per ore un disegno grafico chiamato Monoscopio. Su questo passavamo ore per regolare uno schermo con oltre seicento righine grigie. Fu lì, su quello schermo, che vedemmo accadere per la prima volta i fatti più gravi, oltre a Mike Bongiorno che trasmetteva Lascia o Raddoppia?.

L’altro aggeggio entrato ormai in ogni casa era il frigorifero: non più burro tenuto in fresco nel lavandino, ma tonnellate di ghiaccio e ghiaccioli. E tramontava il gusto per l’arrendamento borghese detto “Rinascimento” (buffet e contro-buffet da una tonnellata con specchi e zampe di leone dappertutto) per cedere ad un nuovo stile razionale “svedese”, lineare e senza fronzoli. Il Paese cresceva molto, l’industria andava a tutta birra, le famiglie mettevano al mondo figli, i nonni restavano in casa come vice genitori e lì morivano. La disciplina era ancora di ferro e volavano schiaffoni e punizioni. I vigili urbani, le “guardie” (cioè i poliziotti e i carabinieri) non erano amichevoli e andavano a spiare le coppie che amoreggiavano in luoghi di fortuna. Era vietato parlare di sesso salvo che nelle surreali barzellette degli adolescenti brufolosi impacchettati nei blue jeans ancora rigidi come lamiere. Ma le donne si vestivano sempre meglio, così come le figlie adolescenti, chi aveva pochi soldi aveva in genere una zia armata di macchina da cucire per confezionare tailleur sui modelli pubblicati dai settimanali femminili. Il genio italiano emergeva, in modo sparpagliato ma anche disciplinato perché le scuole, specialmente pubbliche, erano severissime, con insegnanti dai vestiti un po’ logori, ma temutissimi.

Il Paese leggeva i giornali della sera e guardava le notizie al cinema, dove ogni film era preceduto dalla Settimana Incom che era un telegiornale pieno di ministri che tagliavano nastri. Ma quell’anno fu il teatro di avvenimento importanti, sanguinosi, alcuni chiusero un’epoca, anche se non tutti se ne accorgevano. Fu l’anno del rapporto segreto al Ventesimo congresso del Partito comunista sovietico in cui il successore di Stalin, Nikita Krusciov, rivelò un po’ più della metà dei delitti compiuti da Stalin, ma benevolmente classificati come «errori» da imputare non al sistema comunista, ma ad un imprevisto eccesso di narcisismo assassino, chiamato «culto della personalità». Di conseguenza, molti seguaci di quel culto nei vari paesi soggetti all’Unione Sovietica furono eliminati. Per afferrare l’enormità di quel che veniva rivelato – ma tutto si sapeva molto bene – bisognerebbe rendersi conto della natura quasi divina del “compagno Stalin”, che sopravviveva dopo la sua morte avvenuta due anni prima in circostanze tuttora non chiare.

Il rapporto era segreto, ma fu fatto trapelare per brani alla stampa occidentale che lo diffuse e pian piano lo ricostruì. Era come se il Papa avesse annunciato che Dio non esiste. I comunisti occidentali e in particolare Palmiro Togliatti, la presero malissimo anche perché molti di loro avevano partecipato ai fasti dello stalinismo. E poi le stragi di Budapest, pudicamente chiamate «i fatti di Ungheria». Quei morti in quasi diretta televisiva per la prima volta nel mondo: la rivolta di operai, studenti e intellettuali anche comunisti, contro i carri armati sovietici. Cittadini in bianco e nero. Sparavano e morivano davanti all’occhio televisivo del mondo. Chi non morì subito – circa cinquantamila uomini – fu poi fatto eliminare da Janos Kadar, che aveva partecipato alla rivolta e poi era passato ai russi che lo mantennero sul trono fino alla morte. E la neve. Le inarrestabili nevicate del 1956 da gennaio alla metà aprile con le città del centro e del Sud paralizzate, con una ondata di una micidiale influenza che ne ammazzava più del Covid. Gli alberi di Roma che crollavano.

Infine, l’ultimo guizzo, il colpo di coda coloniale dei francesi e degli inglesi che reagiscono come ai tempi delle cannoniere alla nazionalizzazione del Canale di Suez proclamata da Nasser, il nuovo raìs egiziano e leader del mondo arabo. Ma non è più stagione di cannoniere e accade un fatto nuovissimo e – per i tempi – scioccante: americani e russi sembrano pronti a bombardare Londra e Parigi se non schiodano da Suez. Da dove partire? Certamente da tutti quegli operai e studenti ungheresi che indossavano un trench alla Humphrey Bogart: una cicca nell’angolo della bocca e un mitra in mano. Impassibili, un caricatore dopo l’altro. Le ragazze che riempiono i contenitori di pallottole. Avevo sedici anni e ricordo i profughi ungheresi miei coetanei arrivati a Roma prima di Natale e che accompagnavamo alle bancarelle di piazza Navona. Loro ci mostravano le mani bruciate dall’uso della mitragliatrice. Ragazzi, anzi ragazzini. E i miei amati parenti comunisti che friggevano nel dolore e nella spossatezza di non poter parlare ma piangevano più che altro per le sorti della squadra di calcio ungherese, un mito e una leggenda.

Ricordo una manifestazione a Roma da piazza del Popolo a piazza Venezia furiosa e apocalittica piena sia di gente democratica che di molti fascisti: tutto l’anticomunismo della recente guerra tornava proponendo corpi di spedizione, arruolamenti, cose di pura propaganda.
E poi Suez. Che cosa era successo a Suez? Il canale costruito dagli europei e di proprietà anglo-francese fu sequestrato, anzi nazionalizzato, da quel colonnello arabo che parlava alle folle senza gridare e dicendo cose mai udite prima: «In questo momento, mentre pronuncio queste parole, le nostre forze armate stanno prendendo possesso del Canale di Suez. Coloro che lavorano al Canale stiano calmi, nessuno li toccherà ma da questo momento il canale è solo egiziano». Delirio. Anthony Eden, primo ministro britannico, bello ed elegante, so british, non credeva ai suoi occhi ed orecchie. Ma come si permette questo beduino, o quel che è? Telefonate con Parigi: bisogna agire, siamo noi le potenze coloniali europee e siamo noi ad avere costruito il canale. Tel Aviv vede che gli arabi vogliono la morte di Israele prendendoli per fame e avverte: noi ci stiamo.

Colpo di mano. Sbarchi, paracadutisti, navi: le potenze coloniali europee vanno a dare una lezione ai ribelli. Ma qualcosa di imprevisto ed imprevedibile accade: gli Stati Uniti con il loro presidente-soldato Eisenhower, insieme alla Russia sovietica di Nikita Krusciov sbarrarono a mano armata il passo ad inglesi e francesi: Foster Dulles, il segretario di Stato americano, il creatore della Cia guidata da suo fratello Allan, prese il microfono all’Onu e disse: «E’ per me un momento terribile dovermi opporre agli alleati storici e fratelli inglesi e francesi per dir loro no. Dovete ritirarvi immediatamente. L’epoca degli imperi è finita, l’America non permetterà a nessuno di agire come nell’Ottocento. Lasciate Suez o sarà la guerra». Da Mosca Krusciov disse: «O ve ne andate o io mando i miei bombardieri con le bombe atomiche sopra Londra e Parigi». Per molto tempo tutti fecero finta che non accadesse nulla, ma dovettero sloggiare. Ma l’Unione Sovietica aveva già occupato l’Ungheria con i carri armati: Imre Nagy, il mite capo dei ribelli, con i suoi baffetti arricciati, occhialini e il gilet, fu giustiziato alla maniera di Cesare Battisti: gli fecero salire tre gradini e lo misero di schiena contro una tavola. Un boia gli stringeva il cappio al collo per poi strangolarlo con la forza delle sue mani, facendo a lungo scalciare Nagy al quale erano caduti gli occhialini di mano.

Ma la cosa più grave fu che quell’invasione dell’Ungheria e quella repressione che portò a oltre centomila morti in combattimento e quasi altrettanti in vario modo giustiziati o fatti sparire, avvenne per pressione e decisione di Palmiro Togliatti e del gruppo dirigente del Pci e del leader comunista cinese Mao Zedong. Giorgio Napolitano ha raccontato in modo particolarmente addolorato e onesto la tragedia di quella decisione. Allora tutto il partito fu compatto nell’applaudire l’intervento sovietico, salvo una dozzina di intellettuali fra cui Lucio Colletti, Paolo Spriano, Antonio Giolitti che era figlio di Giovanni e che Togliatti esibiva come nome di prestigio e pochi altri. Piero Melograni ha raccontato che ai tempi della rivoluzione ungherese – che il Pci declassò col titolo “Fatti di Budapest” – nella sede del Pci non esisteva un televisore perché il partito era contrario alla diffusione delle immagini che contrastavano il potere dei documenti politici. La realtà fu che tutti, per la prima volta nella storia, vedemmo giorno dopo giorno quel che accadeva a Budapest dove i carri sovietici abbattevano caseggiati per colpire un ribelle, e la città era ridotta un carnaio infernale.

I socialisti italiani del Psi si spaccarono fra “carristi” (quelli che approvavano l’intervento dei carri armati) e autonomisti che non volevano più condividere l’alleanza con un partito comunista. Ma non successe nulla di grave e di definitivo. Le ferite, specialmente quella della memoria, si rimarginarono rapidamente. Io ricordo me stesso, sedicenne, molto agitato e disperato per quello che avevo visto. E per la prima volta nella mia vita del giornalista che ancora non ero, fui preso dalla febbre di sapere, essere informato, capire tutto: perché era successo, che cosa era accaduto prima, che fine avevano fatto tutti quegli esseri umani, quei ragazzi, quei vecchi, quelle donne che attraversavano la strada fra i colpi di cannone e di cui non si parlava più? Quella gente che fino a ieri avevo visto viva e piena di un calmo coraggio mentre sparava nello stesso modo e con la stessa epica partigiana con cui i resistenti parigini sparavano ai nazisti.

La guerra era finita soltanto undici anni prima ed era già stata dimenticata e superata dalle nuove angosce, ma l’Italia era già uno splendido Paese nuovo e moderno, elegante e pieno di charme, con l’industria che produceva automobili ed elettrodomestici come quelli americani e con la moda e gli stilisti che stavano già rendendoci diversi, brillanti, con quel talento in più, quell’anomalia geniale che è l’unico e solo patrimonio italiano, oltre la storia e la geografia.

(Continua)

LA CRONOLOGIA DEGLI EVENTI DEL 1956

26 gennaio – A Cortina iniziano le Olimpiadi invernali. Zeno Colò vince la discesa libera.

3 febbraio – Grande gelo in tutta Europa. Roma per 15 giorni è sommersa dalla neve.

25 febbraio – Krusciov parla al congresso del Pcus e rivela i crimini di Stalin. Il suo rapporto dovrebbe restare segreto ma viene pubblicato dal New York Times.

20 marzo – La Francia concede l’indipendenza alla Tunisia.

19 aprile – L’attrice Grace Kelly abbandona il cinema e sposa Ranieri, principe di Monaco.

21 aprile – Nasce il Giorno, giornale dell’Eni di Enrico Mattei che già pensa al centrosinistra.

19 maggio – Iniziano i lavori per la costruzione dell’autostrada del Sole. Ci vorranno otto anni per inaugurarla.
29 giugno – Marilyn Monroe sposa lo scrittore Arthur Miller.

25 luglio – Affonda il transatlantico italiano Andrea Doria, speronato da una nave norvegese. Ci sono decine di morti, ma oltre 700 superstiti grazie alle operazioni di salvataggio coordinate dal comandante Piero Calamai e ad una eccezionale manovra di una nave francese accorsa in soccorso. Calamai non vuole scendere dalla Andrea Doria, ma i suoi ufficiali lo costringono.

26 luglio – Il Presidente egiziano Nasser nazionalizza il canale di Suez. Francia e Gran Bretagna furiose. Tensione internazionale alle stelle.

8 agosto – A Marcinelle, in Belgio, crolla una miniera. Muoiono, sepolti 262 minatori dei quali 136 italiani. È la più grave tragedia sul lavoro del secolo.

23 ottobre – Inizia la rivolta d’Ungheria contro l’Unione sovietica.

28 ottobre – Centouno intellettuali comunisti italiani firmano un documento contro l’Urss. La direzione del Pci li condanna severeamente. Tra le firme quelle di Lucio Colletti, Asor Rosa, Carlo Muscetta, Fabrizio Onofri, Paolo Spriano.

29 ottobre – Inizia la guerra arabo-israeliana.

4 novembre – L’Armata rossa entra a Budapest.

6 novembre – Dwight Eisenhower, repubblicano, ex capo dell’esercito americano durante la guerra, viene eletto per la seconda volta presidente degli Stati Uniti. Sconfigge il democratico Stevenson.

27 dicembre – In Italia le donne vengono ammesse nelle giurie popolari.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.