La comunità internazionale si interroga sulla strage di Gaza, dove più di cento palestinesi sono rimasti uccisi mentre arrivavano i camion degli aiuti umanitari. Per le Israel defense forces, che hanno rilasciato dei video dai droni in cui si vede l’assalto ai convogli, gli spari di avvertimento e alcune scene del caos, “non c’è stato alcun raid”. La sera della tragedia, il portavoce delle Idf, Daniel Hagari, ha detto che i cittadini di Gaza “a migliaia si sono precipitati sui camion, alcuni hanno iniziato a spingere violentemente e a calpestare altri gazawi fino alla morte, saccheggiando le forniture umanitarie”.
E pur ammettendo che i mezzi delle Idf hanno sparato colpi di avvertimento verso la folla che aveva preso d’assalto i tir e che si stava avvicinando alle unità dello Stato ebraico, Hagari ha anche detto che “quando le centinaia di gazawi sono diventate migliaia e la situazione è sfuggita di mano, il comandante ha deciso di ritirarsi per evitare di colpire le migliaia di gazawi che si trovavano lì”. Questa al momento è la versione ufficiale dello Stato di Israele, che ha subito fatto partire un’inchiesta interna per comprendere le responsabilità di un massacro senza precedenti. Se da parte del governo israeliano la strage dei civili di Gaza è considerata in sostanza un incidente dovuto all’assalto ai camion carichi di aiuti da parte di migliaia di palestinesi, l’episodio ha però aperto un nuovo fronte della pressione internazionale nei confronti dello Stato ebraico.
Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, si è detto scioccato per l’accaduto e ha chiesto di aprire un’indagine indipendente per accertare la dinamica della tragedia. Il portavoce del Dipartimento di Stato, Matthew Miller, ha spiegato che l’amministrazione Usa “segue da vicino” l’indagine interna e ha garantito che saranno fatte pressioni “per ottenere risposte”. E mentre il presidente francese, Emmanuel Macron, ha scritto su X di provare “profonda indignazione per le immagini provenienti da Gaza in cui i civili sono stati presi di mira dai soldati israeliani”, e di chiedere “verità, giustizia e rispetto del diritto internazionale”, il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel ha affermato di essere “scioccato e disgustato dall’uccisione di civili innocenti” e che “il diritto internazionale non ammette doppi standard”.
La condanna di quanto accaduto nella Striscia di Gaza è stata netta da parte dei Paesi arabi, che hanno ribadito la necessità di un immediato cessate il fuoco. Di fuoco, invece, le dichiarazioni del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che ha accusato ancora una volta Israele di “genocidio” e ha detto che “la comunità internazionale è in debito con il popolo palestinese e lo può ripagare con la fondazione di uno Stato, con i confini del 1967 e capitale Gerusalemme est” in cui Ankara può fare da garante. Mentre per la Cina, ha parlato il portavoce del ministero degli Esteri, Mao Ning, secondo il quale la Repubblica popolare “è scioccata da questo incidente e lo condanna fermamente”, esprimendo solidarietà ai civili. Le frasi dei leader mondiali e il dramma di Gaza rappresentano due questioni centrali per Israele e per la guerra in corso dal 7 ottobre.
Molti osservatori, così come lo stesso presidente Usa Joe Biden, hanno sottolineato da tempo il rischio che la gestione del conflitto possa condurre a un graduale isolamento dello Stato ebraico rispetto alla comunità internazionale. E le dichiarazioni più o meno univoche anche degli alleati di Israele confermano questo scenario che mette in evidenza un grande punto interrogativo della diplomazia israeliana e della stessa politica mediorientale. Un altro tema, collegato strettamente alla gestione del conflitto e che è stato sottolineato anche diversi giornalisti israeliani, riguarda invece gli effetti politici e strategici della tragedia appena avvenuta. Il negoziato con Hamas per raggiungere un’intesa sulla tregua e sulla liberazione degli ostaggi, a questo punto, sembra ancora più difficile. E non è forse un caso che ieri le Brigate Ezzedine Al-Qassam, il braccio armato di Hamas, abbiano dichiarato la morte di sette ostaggi israeliani in un raid compiuto dalle Idf.
“Volevamo mantenerli in vita ma Netanyahu ha insistito nel volerli uccidere. Tutti e sette uccisi da armi dell’Idf”, hanno scritto i miliziani in un comunicato. Un messaggio che può essere anche frutto della strategia del terrore tipica del gruppo palestinese, ma che conferma i timori sulla possibilità di rivedere vive le persone che sono ancora nelle mani dei rapitori. Inoltre, come scritto sul Times of Israel, l’inferno del 29 febbraio a Gaza può alimentare i dubbi sulla capacità di gestione della sicurezza della Striscia da parte delle Idf. Soprattutto perché il nord di Gaza è da tempo considerata l’area più “sicura”, con le forze armate israeliane che ne hanno ormai il controllo quasi totale.
Infine, l’impatto anche mediatico dell’assalto agli aiuti umanitari e della successiva morte di più di cento civili può essere anche un ulteriore motivo di pressione per evitare l’avanzata su Rafah. Città in cui il governo ritiene siano asserragliati gli ultimi battaglioni di Hamas e passaggio fondamentale per raggiungere quella pubblicizzata “vittoria totale” dul gruppo palestinese.
Dal momento che il centro abitato si è trasformato in un crocevia di profughi fuggiti dal nord di Gaza, dopo il disastro di questa settimana il pressing e l’attenzione su Rafah aumenteranno ancora di più.