«Vi erano già fortissimi dubbi, durante il processo di primo grado, sulla presunta colpevolezza dei giovani accusati di essere gli esecutori della strage di Alcamo Marina». Riavvolge il nastro della memoria Gioacchino Natoli, all’epoca giudice a latere della corte d’Assise di Trapani, presieduta dal presidente Giuseppe De Maria. Che condannò Giovanni Mandalà e assolse per insufficienza di prove Giuseppe Gulotta, Gaetano Santangelo e Vincenzo Ferrantelli. Quest’ultimi furono poi condannati in appello e in Cassazione. Un eccidio, quello della casermetta di Alcamo Marina in cui il 27 gennaio 1976 vennero uccisi i due carabinieri Salvatore Falcetta e Carmine Apuzzo, rimasto senza colpevoli perché, molti anni dopo, nuovi processi – grazie alle dichiarazioni del carabiniere testimone Renato Olino – revocarono le condanne. Le prove furono viziate da abusi di ogni genere e confessioni estorte con la tortura. Una frode processuale che a seguito di un depistaggio ha allontanato la verità e consumato le vite di giovani innocenti. Mandalà, dopo anni di carcere, morì di morte naturale, Santangelo e Ferrantelli si rifugiarono in Brasile. Gulotta non fuggì e scontò ingiustamente 22 anni di carcere. Martedì scorso è stato audito in Commissione Antimafia.

Dottore Natoli, per la prima volta il caso della strage di Alcamo Marina approda in Commissione Antimafia.
Tutto quello che si può fare per risalire alla scoperta della causale di questo gravissimo fatto di sangue è utile. Anche se a distanza di oltre quarant’anni non credo sia facilissimo scoprire quello che non si è riusciti a scoprire fino a ora. Sarebbe utile che si riprendessero le indagini, ammesso che siano mai state interrotte, in ambito investigativo giudiziario.

Le piste battute sono state tante: da Cosa Nostra a Gladio fino ad arrivare ai gruppi eversivi neofascisti. Lei che idea si è fatto?
La strage di Alcamo Marina, insieme ai mandanti degli omicidi politici Reina, Mattarella e La Torre e ad altri importanti fatti di sangue, sono buchi neri su cui nessuno ha saputo fare luce. Neanche i collaboratori di giustizia che la procura di Palermo ha messo insieme nel corso degli anni, hanno saputo dire nulla di utile, ad esempio, proprio sulla strage della casermetta. Questo porta a pensare che Cosa Nostra non abbia avuto nulla a che vedere con quell’eccidio. Sugli altri motivi non avanzo ipotesi, mi limito a registrare i fatti tragicamente oggettivi.

Quali?
Le originarie confessioni vennero estorte con torture. Noi avevamo avuto forti dubbi sulla bontà di quelle dichiarazioni, tanto che i tre giovani vennero assolti. Ricordo che dopo la confessione resa davanti ai carabinieri, in assenza di un difensore, appena ebbero contatto con l’autorità giudiziaria cominciarono a protestare la loro innocenza. Inoltre rilevammo durante un’ispezione della casermetta di Sirignano, luogo delle torture, che nei locali, qualche settimana dopo i fatti, vennero eseguiti lavori di ristrutturazione totali che cambiarono perfino l’ubicazione delle stanze. Questo venne ritenuto importante perché uno dei tre giovani, pur incappucciato, ricordava esattamente la disposizione dei vani. Ci venne detto che si trattava di una normale opera di ammodernamento dei locali. Questi elementi hanno indotto la Corte d’Assise a ritenere che vi fossero forti dubbi sulla colpevolezza di Gulotta, Santangelo e Ferrantelli. La condanna di Mandalà, invece, derivava dal fatto che su una sua giacca vennero rinvenute tracce di sangue provenienti dal corpo di Carmine Apuzzo e oggetti che provenivano dalla casermetta.

Però la magistratura ha consegnato alla storia colpevoli che trent’anni dopo si sarebbero rivelati innocenti: cosa pensò dopo la sentenza del processo d’appello?
Ho preso atto della diversa opinione dei colleghi che hanno giudicato secondo prove a quel tempo ritenute fondamentali. Poi a distanza di trent’anni ho registrato che la decisione che avevamo assunto in primo grado era quella più corretta. Ma non possiamo giudicare con i “se” o con i “ma”. Bisognerebbe sapere, invece, per quale motivo Renato Olino abbia atteso tanto tempo per presentarsi ai magistrati e fare la propria ammissione. Mi sembra che sia stato un atto di resipiscenza tardiva, avvenuto quando gran parte del danno era già fatto, quando la vita di Gulotta era già stata rovinata.

Avremo mai, secondo lei, una verità completa sulla strage?
Me lo auguro. L’Italia è contrassegnata da una serie di stragi che devono ancora essere approfondite. Con la speranza che, come nel caso Olino, qualcuno che è a conoscenza dei fatti, si decida di dire la verità.