Strage di Bologna, con l’ergastolo a Cavallini seppellita la verità

La sentenza che condanna all’ergastolo Gilberto Cavallini, ex esponente dei Nar (il gruppo armato neofascista guidato da Giusva Fioravanti e Francesca Mambro) per la strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna, è allo stesso tempo scontata e scandalosa. Scontata prima di tutto perché senza mettere in discussione l’intero impianto che aveva portato, dopo cinque processi, alla condanna dei Nar (e di Fioravanti e Mambro che si sono sempre disperatamente dichiarati innocenti), era prevedibile che un processo celebrato a Bologna, dove il pregiudizio ha sempre avuto in materia la meglio sul giudizio, estendesse la responsabilità a Cavallini. Scandalosa perché proprio nel corso di questo processo sono emersi elementi che imporrebbero a qualsiasi giustizia degna del nome di rimettere in discussione quell’impalcatura, che era già fragilissima.

Conviene ricordare alcuni fatti. In un albergo di fronte alla stazione di Bologna albergavano nei giorni della strage una o più probabilmente due donne che adoperavano falsi passaporti cileni. Detti documenti falsi provenivano da una partita adoperata dal gruppo del terrorista venezuelano, ma già interno al Fronte popolare per la liberazione della Palestina, Carlos. Quel giorno, alla stazione di Bologna, era certamente presente un terrorista tedesco delle cellule rivoluzionarie legato allo stesso Carlos. A farlo sapere, pur negando ogni responsabilità nella strage, era stato lo stesso Carlos, una decina di anni fa.

È opportuno ricordare anche che la commissione parlamentare che si è occupata nella scorsa legislatura del caso Moro ha nel cassetto alcune informative del capoposto del Sismi a Beirut, colonnello Stefano Giovannone, ancora secretate, ma il cui contenuto è noto. Giovannone, nella primavera del 1980, preannunciava un imminente attentato in Italia, organizzato da una fazione dissidente del Fplp finanziata dalla Libia. Alcune settimane dopo, il principale agente italiano nel Medio Oriente, già uomo di fiducia di Moro, proseguiva informando della decisione di affidare l’attentato proprio a Carlos, che era per questo stato chiamato a Beirut e che si sarebbe avvalso però per l’esecuzione materiale di terroristi europei. In questa cornice, il ritrovamento dei passaporti falsi provenienti da una partita di documenti adoperati appunto da Carlos acquista un significato preciso.

Poi c’è la questione di Maria Fresu. Le perizie tecniche hanno fugato ogni dubbio sul caso della salma di Maria Fresu. La donna era nella sala d’aspetto della stazione dove esplose la bomba, con la figlia piccola e due amiche, una delle quali sopravvissuta. L’amica e la figlia erano state uccise non dall’esplosione ma dal crollo del soffitto. La sopravvissuta ha sempre ripetuto che Maria Fresu era vicina a loro. Tuttavia la salma indicata come quella della donna era stata invece fatta a brandelli, come se si trovasse invece vicinissima alla bomba. Per decenni, di conseguenza, sono stati avanzati dubbi su quell’identificazione, senza trovare risposta. Stavolta, invece, è stato disposto l’esame del dna, che ha chiarito senza dubbi che quella salma non è di Maria Fresu. Si pongono così due interrogativi: chi sia la sconosciuta letteralmente polverizzata dall’esplosione e che fine abbia fatto Maria Fresu.

Per chiarire l’ipotesi che quei resti appartengano a un’altra vittima, col che troverebbe risposta almeno il primo interrogativo, sarebbero bastati cinque esami del dna. Tante sono infatti le salme compatibili con quei resti sin qui attribuiti erroneamente alla giovane mamma sarda. La corte, con l’equanimità e l’ansia di arrivare a una verità non predeterminata che ha sempre caratterizzato l’atteggiamento della procura e del tribunale di Bologna, ha deciso di non disporre quegli accertamenti. In fondo, è stata la spiegazione, qui si giudica solo il ruolo di Cavallini. Verificare se alla marea di dubbi da sempre e da innumerevoli fonti avanzati sulla responsabilità dei Nar se ne dovessero aggiungere altri, ancora più corposi e forse decisivi, non rientrava nei compiti di quella corte. Ci penserà qualcun altro. Forse. Un giorno o a l’altro. Nel prossimo decennio o magari in quello dopo ancora. La condanna di Cavallini è ingiusta ma non sorprendente. La sorpresa, peraltro insperata, sarebbe arrivata se una corte di giustizia avesse deciso di infrangere la menzogna di Stato che sin dalle prime ore dopo la strage, in assenza di qualsiasi indizio, aveva deciso che mettere la bomba dovessero essere stati per forza i fascisti.