La sinistra non ha il diritto di requisire la storia dell’Italia per poterla usare contro gli avversari politici. Ricorrenze che dovrebbero unire il paese sono divenute occasioni di settarismo e di emarginazione. Si pensi alla giornata sacra del 25 Aprile, che da troppo tempo è divenuta la Festa del settarismo da parte di associazioni che rivendicano un diritto esclusivo su coloro ai quali è riconosciuta la possibilità di prendervi parte. Fino a trasformarla quest’anno in una manifestazione a favore di Hamas e dell’estremismo palestinese. Ma c’è un’altra ricorrenza più recente e dolorosa del più grave attentato terroristico che ha insanguinato l’Italia: la strage nella stazione di Bologna del 2 agosto 1980. Il capo dello Stato non ha esitato nel suo messaggio a definire “neofascista” quell’attentato, come sta scritto nella lapide commemorativa.

La verità giudiziaria

Del resto il capo dello Stato non avrebbe potuto fare dichiarazioni differenti, in presenza di sentenze che hanno esperito ogni grado di giudizio e sono definitive, almeno per quanto riguarda il nucleo fondamentale degli esecutori, nonché dei mandanti/finanziatori e degli ignobili “depistatori” i quali non hanno possibilità di replicare essendo tutti morti. In uno Stato di diritto dobbiamo accontentarci della verità giudiziaria che, al dunque, è la sola che esiste, perché è la sola che conta, perché le società hanno bisogno di andare avanti stabilendo dei punti fermi, oltre ogni ragionevole dubbio, su tragedie altrimenti insostenibili. Ma il discorso del presidente dell’Associazione dei familiari ha espresso considerazioni che sono inaccettabili perché in sostanza ha tracciato un elemento di continuità almeno ideale (le radici dell’attentato) tra le destre eversive e la destra italiana al governo.

Nessuna conclusione affrettata

Questo è un falso storico perché in nessuna indagine sullo stragismo di estrema destra sono mai emersi collegamenti con il MSI. Purtroppo, poi, in questo paese è meglio non trarre conclusioni affrettate sugli album di famiglia “Fin quando la storia d’Italia – ha scritto Giovanni Orsina su La Stampa – sarà interpretata e strumentalizzata politicamente come ha fatto ieri Paolo Bolognesi, Presidente dell’Associazione familiari delle vittime di Bologna, non potremo mai sperare di riuscire a metabolizzare il nostro passato”. Io il 2 agosto del 1980 c’ero e per anni ho partecipato alle cerimonie delle ricorrenze. Da parlamentare mi sono interessato affinché ai famigliari delle vittime fossero riconosciute le doverose tutele da parte dello Stato. E continuerò a nutrire, per tutta la vita, oltre al dolore per quelle povere vittime, ammirazione e orgoglio per quanto la cittadinanza e le istituzioni bolognesi tutte seppero fare in quelle drammatiche ed indimenticabili ore. Da anni non partecipo più perché non sopporto ciò che Orsina ha definito “disonestà intellettuale e faziosità”.

Il dubbio

Non intendo – e non sarei in grado di farlo – mettere in dubbio una montagna di sentenze che vanno tutte in una sola direzione; tuttavia alcune domande me le sono poste quando ho saputo che un assassino e bombarolo internazionale legato al terrorismo palestinese, Thomas Kram detto Carlos, la notte del 1° agosto dormì a Bologna; e quando ho letto la ricostruzione dei fatti nel saggio di Rosario Priore “I misteri di Bologna”. Confesso che mi è rimasto il dubbio – che si è rafforzato leggendo il testo del discorso di Paolo Bolognesi – che ai vertici di quella benemerita Associazione che da 44 anni è custode della memoria più che la verità sulla strage interessasse confermare quella verità politicamente appropriata tanto da essere i primi a smentire ogni tentativo di approfondire altre piste.