PQM non intende prendere posizione sul caso Erba. C’è una istanza di revisione giudicata ammissibile, e tre giudici che daranno la loro risposta. Ma la durezza davvero inconsueta con la quale il Procuratore generale aggiunto di Milano, dott. Cuno Tarfusser, ha argomentato la propria istanza di revisione, è un documento senza precedenti. A prescindere dalla sua rilevanza ai fini del giudizio di revisione, si tratta di un contributo formidabile al tema della prova nascosta (condizionata, orientata, suggerita, manipolata) cui è dedicato questo nostro numero (GDC).
Picchia giù duro il Procuratore Generale di Milano Cuno Tarfusser, nella sua richiesta di revisione. Punta il dito sulle modalità e il contesto in cui sono maturate le tre prove che hanno inchiodato Olindo e Rosa: “un contesto”, scrive, “che definire ‘malato’ è esercizio di eufemismo”.
E non esclude che il tutto sia stato condizionato dalla “precisa volontà di qualcuno che era alla spasmodica ricerca del ‘successo investigativo’, presto e a tutti i costi”.
Strage Erba, le tre prove d’accusa contro Olindo e Rosa
Tre e solo tre le prove d’accusa: 1. “le confessioni” rese dagli imputati; 2. “una traccia ematica” di una vittima rinvenuta sul battitacco dell’auto degli imputati; 3. “il riconoscimento” di Olindo, quale aggressore, da parte di Mario Frigerio, unico sopravvissuto alla mattanza.
Su ognuna di queste prove i dubbi del Procuratore pesano come macigni. Lo aveva promesso agli avvocati della difesa: “se mi convincerò (della loro innocenza) … mi determinerò … senza condizionamenti e in piena autonomia e indipendenza”. Detto, fatto! Senza esitazioni, per amore di verità e di giustizia, rispondendo solo alla voce della propria coscienza. E così ha smontato uno per uno i pezzi del fragile mosaico accusatorio.
1. Intanto il “riconoscimento”.
Frigerio, tra il 15 e il 26 dicembre, è stato sentito per ben otto volte. Mai ha affermato di conoscere il suo aggressore. Eppure l’ha visto in volto, tanto da descriverlo dettagliatamente. L’ipotesi è che fosse extracomunitario, di cultura araba. Pista ignorata. Più comodo seguire la via della lite di vicinato. Ed ecco che il nome di Olindo sarà “suggerito” da un ufficiale di Polizia giudiziaria. Lo stesso che davanti ai Giudici negherà la circostanza, mentendo.
Oramai la macchina distorsiva è avviata. E il pregiudizio pure. Così, in un tortuoso “crescendo ricognitivo”, saranno gli interroganti a parlare e chiedere, ripetutamente, di Olindo a Frigerio, rendendo l’atto investigativo “estremamente dubbio” e “inficiato da evidenti e gravi elementi di criticità”. Soprattutto se si considera che “contrariamente a quanto riportato nel verbale riassuntivo, il Frigerio non fa mai il nome di Olindo”.
Eppure la scienza esclude la possibilità che un volto sia, prima, identificato come sconosciuto e, poi, come familiare: “NON esiste la possibilità di sopprimere, volontariamente, un riconoscimento automatico di un volto familiare”. E ancora. Frigerio soffriva di una malattia che lo rendeva “suscettibile agli effetti distorsivi delle suggestioni”. Insomma: “un caso di scuola per l’inidoneità a rendere testimonianza”, visto che fu esposto ad alterazione del ricordo e, conseguentemente, a una falsa memoria.
2. La traccia di sangue.
Non meno “strano” il ritrovamento della traccia di sangue sul battitacco della macchina di Olindo. Una macchia di due centimetri quadrati, ben visibile. Stranamente “sfuggita” alla prima ispezione del 12 dicembre. Ma non a quella del 26 quando, alle ore 23:00, un brigadiere decide in solitudine di svolgere un “accertamento tecnico di urgenza”. Scatta 12 foto violando le più elementari “tecniche del mestiere”. E in nessuna di esse è visibile una macchia di sangue! Lapidario, il Procuratore: un procedimento “raggelante” e “opaco che trasuda criticità”. Eppure, non vi è stato un Giudice che si sia interrogato sull’origine della macchia, né sulla catena di custodia dal momento del suo repertamento.
Per il Procuratore e per la scienza, quella macchia per “qualità, quantità e concentrazione, con ogni probabilità non proviene dal battitacco di Olindo”. Quel quantitativo di sangue “cospicuo, concentrato, non degradato, non alterato” renderebbe “scientificamente inconciliabile la traccia repertata con quella analizzata” e solleva “una serie di domande sulla genuinità delle attività compiute e degli atti redatti dalla Polizia giudiziaria”. Un pugno diritto allo stomaco.
Ma c’è un tarlo che assilla Tarfusser. Com’è possibile che in quella mattanza sul luogo del delitto non ci siano tracce di Olindo e Rosa? E che nell’appartamento e autovettura dei due “non siano state rinvenute tracce delle vittime”? Se “esistesse ‘la prove regina’ – incalza – questa è una prova regina. Prova, però, dell’innocenza dei condannati”.
3. E veniamo alle confessioni. Il pilastro principale della condanna.
8 gennaio 2007. Primo interrogatorio. Gli inquirenti usano pesantemente le due fonti di prova per “convincere i fermati a confessare”. “La pressione …è enorme”. A interrogarli “addirittura quattro (!) Pubblici Ministeri e (almeno) un ufficiale di P.G. A difenderli, un difensore d’ufficio”, il cui ruolo, “stando ai verbali, è di mera regolarità formale”. Ciò nonostante, “sia la Bazzi, sia il Romano, protestano, con veemenza, la loro innocenza”. Sconcertanti le conclusioni. Alla Bazzi un PM dirà: “pensi bene signora… che il suo futuro si presenta orrendo. Può fare solo lei qualcosa per migliorarlo, perché il nostro impegno è di farle dare l’ergastolo, a lei e a suo marito”. Al Romano, invece, sarà detto: “il signor Frigerio l’ha vista bene, lo ha detto che l’ha vista. Vede, …con un riconoscimento così sicuro, certo, netto la condanna è praticamente già sicura. Se lei ci aggiunge che il sangue … di una delle vittime è stato trovato sulla sua macchina, come può pensare di uscirne?”.
In questo stato emotivo, ai coniugi è dato modo di incontrarsi e di parlarsi per 48 ore. Il luogo è intercettato. Il colloquio tra i due è disperato e le cronache dei giornali ne hanno dato ampio risalto.
Olindo: “ascolta, ho parlato con il magistrato… lui ha detto che se vogliamo far finire questa storia qui… di dire la verità”; Rosa: “ma non c’è niente da dire… hanno fatto tutto loro”; Olindo: “mi hanno spiegato… la cosa in termini pratici. Se, per disgrazia, trovano qualcosa, ti trovano qualcosa, ti processano e ti danno l’ergastolo. Se confessi, hai le attenuanti e il rito abbreviato. Dici la verità, che la moglie non c’entra niente e (tu) non becchi niente”. Rosa: “ma non è vero, Oli”; Olindo: “io becco le attenuanti e finisce la storia”; Rosa: “ma cosa c’è da confessare? Non siamo stati noi”; Olindo: “lo so… ma se facciamo così prendiamo… benefici e ce ne andiamo a casa”.
Il 10 gennaio, decideranno di confessare.
Per i Giudici di primo grado si tratta “di due confessioni assolutamente spontanee, in nessun modo coartate”. Per Tarfusser sono “false confessioni acquiescenti”. Ora una risposta chiara e definitiva non è più oltre rinviabile.