Il Libano trema. Dopo il missile che ha colpito la comunità drusa di Majdal Shams uccidendo dodici ragazzi che giocavano a calcio, Israele ha una sola certezza: la responsabilità del raid è di Hezbollah. E il gabinetto di sicurezza, già domenica sera, ha autorizzato il premier Benjamin Netanyahu a prendere tutte le misure necessarie per rispondere alla milizia sciita libanese. La risposta è da sempre stata considerata inevitabile da tutti gli analisti e dalla stessa diplomazia, che è al lavoro da 48 ore per scongiurare lo scenario di un’escalation incontrollata. Gli Stati Uniti, come rivelato dal portale Axios, hanno chiesto allo Stato ebraico di evitare raid punitivi nella capitale Beirut, consapevoli del rischio che un attacco del genere faccia piombare il Libano nel caos e costringa a intervenire non solo Hezbollah ma anche le forze armate locali e le varie milizie del paese dei cedri.

I commenti

Il segretario di Stato, Anthony Blinken, ha sentito il presidente israeliano Isaac Herzog ribadendo «l’impegno ferreo per la sicurezza di Israele» ma anche «l’importanza di prevenire l’escalation del conflitto». «Nessuno vuole una guerra più ampia e sono fiducioso che saremo in grado di evitare un simile risultato», ha detto il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale, John Kirby. E da Washington, sono partite anche telefonate ai vari leader locali per cercare di gestire la risposta israeliana e il possibile contrattacco sciita in modo da evitare l’escalation. Il ministro degli Esteri libanese Abdallah Bou Habib, in un’intervista con la rete locale Al-Jadeed, lo ha quasi garantito. «Israele lo farà in modo limitato e Hezbollah risponderà in modo altrettanto limitato… Queste sono le rassicurazioni che abbiamo ricevuto», ha affermato Bou Habib.

Il doppio fronte

Ma è chiaro che tutto dipenderà dalla volontà di Netanyahu, del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, e dal suo dominus fuori dal Libano, l’Iran. Che al momento tutto sembra volere meno che una guerra in cui rischia di dovere comunque intervenire, anche se in via indiretta. Tutte le cancellerie sono impegnate su un doppio fronte: evitare una guerra su vasta scala e approntare tutti i piani per un’eventuale evacuazione dei propri concittadini. Francia, Belgio, Norvegia già da domenica hanno chiesto ai connazionali presenti in Libano di abbandonare il paese. «Siamo pronti a far tutto ciò che serve per tutela degli italiani, invitiamo tutti gli italiani che sono in Libano alla massima prudenza, chi può rientrare in Italia lo faccia e sconsigliamo nella maniera più ferma di andare in quel paese finché la situazione è così complicata», ha detto il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani.

Secondo i media israeliani, la Marina britannica è già presente nel Mediterraneo orientale con alcune navi pronte a sostenere le eventuali operazioni di evacuazione dei civili. E per un’ipotetica fuga di massa dal Libano, Cipro ha già dato la sua disponibilità per essere utilizzata come hub, visto che i piani erano già stati perfezionati lo scorso ottobre. «Tutti speriamo che non serva, ma se ciò non dovesse accadere, Cipro continuerà a fungere da ponte di sicurezza per facilitare la partenza dei civili da qualsiasi zona colpita nella nostra area», ha dichiarato il ministro degli Esteri cipriota Constantinos Kombos. Le ore di attesa sono state vissute con sentimenti contrastanti. Hezbollah ha iniziato a evacuare le basi e i luoghi più a rischio, dalla valle della Bekaa fino ai territori del sud e Beirut.

La risposta di Netanyahu

Ma ha anche spostato i missili di precisione per utilizzarli in caso di contrattacco. Sull’altro lato del confine, mentre le Israel defense forces hanno messo a punto i piani d’attacco iniziando già a colpire il territorio libanese (ieri un raid ha ucciso due miliziani tra Meis el-Jabal e Shaqra, nel Libano meridionale), Netanyahu ha visitato Majdal Shams nel Golan garantendo una dura reazione da parte dello Stato ebraico. «Questi bambini sono i nostri figli, lo Stato di Israele non lascerà passare questo. La nostra risposta arriverà e sarà severa», ha detto il capo del governo. Ma duecento abitanti lo hanno contestato dicendo di andarsene e accusandolo di essere un «assassino». «Ora si ricorda del Golan», hanno urlato secondo Haaretz. Segno che il premier deve rispondere non solo alla milizia filoiraniana, ma anche a un’opinione pubblica che tra minacce esterne, ostaggi e guerre logoranti inizia ad esigere con sempre maggiore forza risposte e un cambio di rotta sulla conduzione dei vari fronti e del paese.