A provocare il disastro del 10 aprile 1991, quando lo scontro nella rada del porto di Livorno tra il traghetto Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo provocò la morte di 140 persone (65 membri dell’equipaggio e 75 passeggeri), fu “una terza nave che non è stato possibile identificare con certezza” ma che ha costretto il traghetto a una virata improvvisa culminata con lo schianto contro la petroliera che non doveva trovarsi in quella posizione. E’ quanto emerge dalla conclusione dei lavori della Commissione di inchiesta parlamentare che ha approvato all’unanimità la relazione finale sulla strage avvenuta ben 31 anni fa. Commissione che ha “lavorato in collaborazione con le procure di Livorno e di Firenze” e ha stabilito che “le verità giudiziarie a cui si era arrivati in passato erano infondate” ha dichiarato il deputato del Pd, Andrea Romano, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul disastro Moby Prince presentando la relazione conclusiva approvata oggi all’unanimità.

“La collisione tra il traghetto Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo è avvenuta all’interno dell’area di divieto di ancoraggio nella rada del porto di Livorno, a seguito di una turbativa esterna della navigazione provocata da una terza nave che non è stato possibile identificare con certezza” aggiunge Orlando. Le vittime viaggiavano tutte sul traghetto diretto a Olbia: l’unico sopravvisto del Moby Prince fu il mozzo Alessio Bertrand.

Sulla mancata identificazione della terza nave coinvolta Romano spiega che “non abbiamo potuto dare risposte certe sull’identificazione del natante che ha causato la collisione perché non ne abbiamo avuto il tempo a causa della fine anticipata della legislatura, ma abbiamo suggerito nella relazione conclusiva due piste da seguire in futuro sia da parte della magistratura e del prossimo Parlamento”. La Commissione chiarisce poi la dinamica della collisione e il ruolo della terza imbarcazione: “La presenza di una terza unità navale in movimento ha interferito con la rotta del traghetto e obbligato Moby Prince a una virata a sinistra per evitare una collisione certa con essa, per poi andare a collidere con la petroliera ancorata dove non doveva essere e resa invisibile da un improvviso black out”.

La stessa Commissione offre due tracce per individuare la nave che provocò l’incidente: la prima porta alla 21 Oktobaar II, un ex peschereccio somalo; la seconda è relativa alla presenza di una o più bettoline “che stavano effettuando bunkeraggio clandestino”. Del resto, hanno accertato i commissari, la notte del 10 aprile 1991, “la navigazione si stava svolgendo con condizioni di visibilità buona, se non ottima, vento a regime di brezza e mare calmo” e che l’esplosione a bordo del Moby, “è avvenuta dopo la collisione”, pertanto negli anni scorsi le ipotesi “di nebbia, di una bomba sul traghetto o di una distrazione del comando della nave” come cause della collisione “hanno contribuito a creare confusione” creatasi nelle indagini. Sarà però la magistratura, e nello specifico la Procura di Livorno, a stabilire se siano state condotte negligenti o veri e propri depistaggi.

Secondo Romano “la Commissione ha avuto conferma della valutazione, pienamente condivisibile, fatta dalla Commissione senatoriale sul ‘comportamento di Eni connotato di forte opacità‘, riscontrata, in particolare, in merito alla determinazione dell’effettiva provenienza della petroliera, del carico realmente trasportato e delle attività svolte durante la sosta nella rada di Livorno: comportamento, dunque, certamente opaco che questa Commissione ritiene di biasimare”. Da qui l’appello all’Eni “a rendere pubblici i suoi documenti interni visto che forse sapeva che Agip Abruzzo si trovava dove non doveva essere, forse sapeva anche del black out o del vapore e perfino che forse era coinvolta in attività di bunkeraggio clandestino: noi abbiamo chiesto i materiali delle inchieste interne ma non li abbiamo avuti”.

All’agenzia Agi Luciano Chessa, uno dei due figli del comandante del Moby Prince commenta: “Ciò che sta emergendo è un risultato positivo. Già il presidente della commissione aveva dato delle indicazioni importanti che ribaltavano le verità processuali. E’ importante aver scoperto che la virata improvvisa del traghetto è stata legata alla presenza di una terza imbarcazione. Poi, certo, adesso bisognerà capire quale era questa terza nave. Sarà molto importante adesso sapere esattamente quale era questa terza nave”, ha osservato Chessa, “perché in questo modo si potrà capire chi ha lavorato per nascondere la verità e per quale ragione l’ha fatto”. Secondo Nicola Rosetti, vicepresidente del Comitato Moby Prince 140, “bisogna trovare i responsabili di quelle menzogne che da subito volevano farci credere che fu la nebbia e una tragica fatalità a determinare la morte di 140 persone”.

 

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