Esteri
Stranezze Pro-Pal, cala il silenzio sul raid di Israele

Niente, almeno fino a ieri sera, dal segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, solitamente solertissimo nel denunciare – perlopiù sulla base di notizie non verificate – anche il più sperduto incidente nella Striscia di Gaza. Niente da Amnesty International, dalla Croce Rossa, dall’Unicef, queste organizzazioni e agenzie internazionali così attive, normalmente, nel vigilare sui crimini israeliani. Niente dai giornali che, su notizie ben meno gravi, sono abituati a srotolare titoli prominenti e requisitorie impettite.
Strano, dunque. Perché la notizia relativa a un “attacco aereo” israeliano che avrebbe fatto decine di morti in un accampamento nella parte meridionale di Gaza è di quelle che, appunto solitamente, ricevono l’attenzione che meritano e suscitano un comprensibilissimo sdegno generale. Se si aggiunge, poi, che i morti sarebbero perlopiù bambini “bruciati vivi”, e che la zona in cui sarebbe avvenuto l’attacco era tra quelle designate come “sicure” per gli sfollati, si capirà come quel sostanziale silenzio oltraggi tanto più inammissibilmente un simile orrore.
È inverosimile che tutti – l’Onu, quelle altre agenzie, quei giornali – abbiano deciso, prima di avventurarsi nelle abituali iniziative di protesta e denuncia, di acquisire informazioni e di vederci chiaro. È inverosimile perché del tutto normalmente, al contrario, vi si avventurano alla cieca e sulla sola base della versione fornita da parte palestinese. È probabile, quindi, che non siano i punti oscuri e contraddittori di questa ennesima, tragica vicenda ad aver inibito l’usuale scatenamento delle loro indignazioni. Per esempio: escludiamo che possa aver indotto qualche bisogno di accertamento, e dunque qualche cautela, il fatto che la documentazione di quanto accaduto risiedesse pressoché soltanto in un filmato – sempre uno, e sempre lo stesso, circolato viralmente nei social – delle fiamme che hanno avvolto quell’accampamento.
Escludiamo, ancora, che la sostanziale noncuranza di cui la notizia è stata destinataria dipendesse dal fatto che, sempre ieri, circolassero con uguale ambizione di verità le descrizioni dei missili sganciati dai caccia israeliani, da un lato, e le fotografie del drone che avrebbe colpito quel gruppo di tende, provocandone l’incendio, dall’altro lato. Escludiamo, infine, che tanta, insolita prudenza degli osservatori e del sistema dell’informazione – diciamo così – non pregiudizialmente favorevoli a Israele, si debba a un senso di prudenziale discernimento che sconsiglia di addebitare all’esercito israeliano – che a sua volta non ha rilasciato dichiarazioni – l’ennesimo crimine. Sarebbe una novità sbalorditiva.
Inutile dire che, se la notizia fosse vera, e se cioè fosse vero che l’esercito israeliano ha colpito un accampamento nell’assenza di esigenze militari o di difesa che giustificassero l’attacco, uccidendo tutti quei bambini, occorrerebbe che Israele si facesse carico senza indugio di questa gravissima responsabilità. E dovrebbe farsene carico anche nel caso in cui si fosse trattato di un errore anziché di una iniziativa mirata. Se poi, invece, l’incidente avesse origini diverse (come spesso è accaduto), o ragioni capaci di spiegarne la tragica imponderabilità (come altrettanto spesso è successo), anche più urgente sarebbe che Israele ne desse conto.
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