Serve una riforma che assomigli molto a una rivoluzione
Strapotere magistratura e politica ferma: referendum unica soluzione, i 12 temi caldi
Lo spettacolo dei magistrati in Tv che si insultano tra di loro, si sfidano, se le danno di santa ragione, si minacciano, è stato, francamente, uno spettacolo penosissimo. Mi riferisco alla trasmissione di Formigli su La7 dell’altra sera. Francamente non credo che esistano molti altri paesi al mondo nei quali la magistratura si comporta così e offre di sé questo spettacolo da osteria. Ricordo che fino a qualche mese fa molti giuristi, molti magistrati, anche molti politici, parlavano della necessità che la magistratura procedesse alla sua autoriforma. Lo stesso presidente Mattarella, quando il caso Palamara era appena agli inizi, rivolse al Csm un richiamo secco: spingete per una autoriforma – disse – perché la credibilità della magistratura sta scemando.
A forza di scemare questa credibilità è scomparsa. Oggi è zero. Credo che nessun giurista e neppure nessun magistrato oserebbe più proporre una autoriforma. Due cose sono molto chiare a chiunque sia in buona fede. La prima è che per riformare la magistratura occorre un intervento esterno. La seconda è che questa riforma deve prevedere la fine della incontrollabilità del potere della magistratura. Se questo non avviene, si creerà una situazione di distacco irreparabile tra magistratura e paese. Cioè ci verremmo a trovare in una situazione nella quale le persone raziocinanti non hanno nessuna fiducia nella magistratura, ne rifiutano l’autorevolezza, ne negano l’imparzialità. Probabilmente già siamo in questa situazione. I sondaggi dicono che la maggioranza dei cittadini non crede alla giustizia. Cosa vuol dire, questo? Può un paese democratico vivere in una condizione nella quale chi amministra la giustizia è considerato un prepotente e un fuorilegge? Può una democrazia resistere a lungo in una condizione di questo genere, fuori dallo Stato di diritto e fuori dalla stessa legittimazione popolare?
Fino a qualche anno fa la situazione era diversa. In realtà non era molto diversa la magistratura, che comunque da mezzo secolo vive aumentando sempre di più il proprio potere e mantenendolo al riparo da qualunque controllo esterno. E dunque vive amministrando le sue capacità di oppressione e di sopraffazione. Era molto diverso però il rapporto con l’opinione pubblica che, guidata dai grandi giornali e dalle grandi Tv, nutriva una fiducia molto alta verso l’Istituzione magistratura. Vivevamo questa contraddizione: una magistratura in gran parte fuori dallo Stato di diritto ma coperta dal sostegno popolare. Ora il sostegno popolare non esiste più, e questo determina la crisi irreversibile. Intendiamoci bene: quando si scrivono queste cose non si sostiene che in Italia esiste una categoria di persone, i magistrati, costituita da puri e semplici mascalzoni. No. Il numero dei magistrati onesti e che non abusano del proprio potere è probabilmente più grande del numero dei malfattori.
Il problema è che la gran parte dei malfattori è insediato al vertice della magistratura, la forgia, la guida, la comanda, e comanda sui giornali e sui mass media, e ha messo fuori gioco tutti gli altri poteri. Questo non succede in nessun altro paese del mondo. La prima riforma da fare deve consistere nel togliere alla magistratura il potere di essere fuori da qualunque controllo democratico. Questo vuol dire colpirne l’indipendenza? No, se l’indipendenza alla quale si tiene è l’indipendenza del magistrato e in particolare del giudice. Oggi questa indipendenza è messa in discussione dallo strapotere delle correnti e delle cosche. Non dalle intrusioni di altri poteri. I quali invece sono inginocchiati. L’indipendenza dei magistrati si conquista solo mettendo i magistrati al riparo dalle sopraffazioni delle gerarchie e delle camarille.
Il referendum e i 12 temi forti
Chi le può fare queste riforme? La politica non ce la fa. Lo dimostra il fatto che il Parlamento non è capace neppure di varare una commissione di inchiesta sulla magistratura. Non la vara perché teme di offendere lorsignori e sa che è pericoloso. E allora c’è un’unica soluzione: i referendum. L’altra sera Matteo Salvini ha annunciato che la Lega è pronta ad appoggiare i radicali e a raccogliere le firme per i referendum. Per quel che mi riguarda è la prima cosa buona che dice o fa Salvini da molti anni… Bene, è una grande novità. I referendum annunciati, finora, sono otto: responsabilità civile dei magistrati, Csm, Magistrati fuori ruolo, custodia cautelare, separazione delle carriere, Trojan, legge Severino, Valutazione professionale delle carriere.
Sono otto temi forti. Soprattutto, credo, la separazione, la responsabilità civile e la custodia cautelare. Manca qualcosa. Mi pare che ne manchino almeno altri quattro: prescrizione, ergastolo, 41 bis, reato di clandestinità. Su alcuni di questi temi è tecnicamente molto difficile costruire un quesito referendario. Però i temi sono questi. Alcuni dei referendum supplementari che ho indicato non piacciono alla Lega. Salvini però farebbe un bel gesto se aiutasse la raccolta delle firme anche su referendum che non condivide. Solo per concedere la parola al popolo. E farebbero bene ad aggregarsi anche gli altri partiti democratici. Soprattutto il Pd (Forza Italia la do per scontata). Che avrebbe la sua grande occasione per staccarsi dai 5 Stelle, recuperare uno spessore liberale e socialista, e ripartire, rinascere.
La storia dei referendum è una storia molto controversa nella politica italiana. Ha avuto momenti altissimi, soprattutto negli anni Settanta, quando i quesiti furono usati da Marco Pannella – che era alla guida di un partito piccolissimo – come una leva che moltiplicava per mille la sua forza politica e la sua capacità di scassare gli schemi precostituiti. Poi hanno avuto lunghi momenti di appannamento, hanno perso mordente, non funzionavano più.
Pannella, attraverso i referendum sul divorzio (1974) e sull’aborto (1978) non solo produsse dei cambiamenti profondissimi nella legislazione e nel costume di questo paese. Ma riuscì a modificare persino gli assetti ideologici dei grandi partiti. In particolare della Democrazia cristiana, che vide ampi settori del suo elettorato spostarsi su posizioni moderne e distaccarsi dai meccanismi del bigottismo. E del Partito comunista, che ruppe con il proprio conservatorismo e fece i conti, finalmente, coi diritti civili e con la necessità di non considerarli quasi dei nemici dei diritti sociali. Persino il Vaticano fu scosso dalla ventata modernizzatrice. Il grimaldello dei referendum consegnò a Pannella un peso politico, in quel decennio, infinitamente superiore al suo peso elettorale.
I referendum furono usati ancora da Pannella negli anni 80. Il referendum più importante fu proprio quello sulla giustizia del 1987. Si chiamava il referendum-Tortora, perché nacque dalla via crucis che gli errori dei magistrati avevano imposto a uno dei più famosi personaggi della televisione. Il referendum fu vinto da Pannella e dai socialisti che lo sostenevano (e che erano al governo, anzi, detenevano per la prima volta la Presidenza del Consiglio). E impose la responsabilità civile per i magistrati. Per la verità non la impose, la scelse, ma poi la politica trovò il modo per varare una legge che di fatto annullava il risultato del referendum.
Poi con gli anni il referendum perse forza, anche perché molti partiti iniziarono a usare il “freno” dell’astensione. Una specie di “trucco”. Che consisteva in questo: la legge prevede che un referendum sia valido solo se vota almeno la metà degli elettori. Siccome è fisiologica l’astensione del 25, 30 per cento dell’elettorato, ai partiti contrari al referendum era sufficiente dire ai propri elettori di non andare a votare. E così con il 20 o 25 per cento degli elettori, che si aggiungevano agli astenuti fisiologici, si vinceva il referendum. L’unica significativa eccezione fu il referendum elettorale del 1993, che rase al suolo la Prima repubblica. Promosso da Mario Segni. Stavolta l’attenzione dell’opinione pubblica per la giustizia è così alta, che davvero è improbabile che non si raggiunga il quorum. Vale la pena. Penso che a Pannella sarebbe piaciuto questo referendum. Magari i magistrati non saranno contenti, ma mica si possono accontentare tutti, no?
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