La sua colpa è quella di essere stata violentata da coloro che considerata in un certo senso conoscenti, se non addirittura amici. La seconda colpa è quella di aver ‘usufruito‘ di un periodo di malattia tra ricoveri in ospedale e sedute da psicologi e psichiatri per provare ad uscire dal tunnel in cui era stata gettata dopo una serata divertimento, nel marzo del 2023, in un locale dei Navigli di Milano.

Da allora è iniziato l’incubo senza fine di una 32enne torinese, manager per una società di Milano con sede legale in Olanda, specializzata nel commercio di brand di lusso. Lei lavorava da circa tre anni negli uffici di Assago, alle porte del capoluogo lombardo, e dopo aver ricevuto la solidarietà iniziale, quella che si dà anche per rito, per buona educazione, un anno dopo ecco arrivare il benservito da parte dell’azienda con tanto di 5mila euro di buonuscita. Una vicenda quella della giovane manager torinese che viene riportata dal quotidiano “La Stampa“.

Lo stupro, il processo e la condanna

La giovane fu vittima di violenza sessuale di gruppo, andata avanti per tutta la notte, da parte di tre ragazzi che conosceva. Avevano tutti bevuto quella sera ma questo, con buona pace di alcuni politici e di ex compagni di premier, non è un lasciapassare per uno stupro. I suoi “amici”, di età compresa tra i 23 e i 27 anni, sono stati tutti identificati e arrestati dai carabinieri e lo scorso gennaio 2024 i primi sviluppi giudiziari: per uno dei tre è scattata la condanna, in abbreviato (sconto fino ad un terzo della pena), a 3 anni e 7 mesi di reclusione. Per gli altri due, che hanno scelto il rito ordinario, è scattato il rinvio a giudizio.

Licenziamento per giustificato motivo

La lettera di licenziamento per la 32 enne è arrivata giusto un anno dopo lo stupro di gruppo, quasi per ironia della sorte. A pochi giorni dall’anniversario di un evento che ti segna inevitabilmente, creando veri e proprio blocchi nelle relazioni interpersonali, ecco arrivare il benservito con tanto di motivazione “per giustificato motivo“. Eh si perché “in un’ottica di maggior efficienza – si legge – abbiamo deciso di riorganizzare le nostre attività, sopprimendo la posizione di ‘Service Merchandiser’ da lei attualmente ricoperta e ridistribuendo le sue attuali mansioni tra altri dipendenti attualmente impiegati presso di noi”.

Le cure, le terapie e il tentativo di tornare al lavoro

Licenziamento che la 32enne ha impugnato e che arriva dopo l’iniziale solidarietà da parte dell’azienda. La Stampa sottolinea che  dopo sei mesi di mutua scandita da ricoveri in ospedale e da interminabili sedute da psicologi e psichiatri, con i famigliari che temevano addirittura un gesto estremo, la ragazza provò a tornare al lavoro lo scorso settembre ma “non ce la faceva, aveva ancora bisogno di cure. Alternava momenti di ottimismo ad altri di profonda tristezza”.

Così a un anno di distanza dal raccapricciante episodio ecco arrivare la seconda mazzata.

 

Redazione

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