Il vaccino AstraZeneca è stato sinora inoculato in decine di milioni di persone in tutto il mondo. Con risultati eccezionali. In una percentuale infinitesima di casi, dopo la somministrazione del vaccino è intervenuta la morte, sembra per il verificarsi di trombi nei vasi sanguigni. In numerosi paesi si è, perciò, posto il problema di verificare se si sia trattato di una mera coincidenza temporale, atteso che un certo numero di improvvise morti per trombosi di soggetti apparentemente sani fa parte delle ordinarie statistiche della popolazione umana, o se vi sia un nesso di causalità.

In Italia sono stati somministrati alcune milioni di dosi del vaccino AstraZeneca. Il numero delle morti avvenute dopo la somministrazione del vaccino è di cinque. L’ultima è quella di una giovane insegnante. Le procure che indagano per verificare se si tratta di una mera coincidenza temporale o se vi è un nesso causale sono ben sei: Siracusa, Trapani, Messina, Napoli, Gela, Biella. La condotta degli inquirenti si è mantenuta lontana da qualsiasi scandalismo: atteggiamenti molto sobri, la notizia che gli stessi inquirenti non hanno avuto esitazione a vaccinarsi con l’AstraZeneca, il procuratore Zuccaro di Catania che ha dichiarato di volere «così spazzare via tutte le diffidenze intorno ad un vaccino che è indispensabile».

Contemporaneamente, è stato iscritto, come “atto dovuto”, nel registro degli indagati l’amministratore delegato di AstraZeneca Italia. Il quale, dunque, in questo momento è tecnicamente “sotto indagine” per la possibile commissione dei reati di omicidio colposo e commercio di medicinali guasti o imperfetti. Nel registro degli indagati sono finiti anche coloro che, a vario titolo, fanno parte delle strutture sanitarie che hanno somministrato il vaccino. La notizia è subito rimbalzata sui telegiornali, sui siti di informazione e sulla carta stampata. Ed ha certamente contribuito a far crescere l’allarme e la diffidenza verso il vaccino AstraZeneca: se addirittura intervengono le procure della repubblica ….!

Non vi è notizia che anche in altri paesi del mondo siano stati aperti procedimenti penali. Diventa inevitabile chiedersi, allora, se l’anomalia italiana sia da attribuire ai magistrati che indagano o al sistema delle regole, che governano le indagini. Queste ultime fanno obbligo al pubblico ministero di investigare in presenza di una notizia di reato, sia quando la apprendano direttamente e sia quando la ricevano a seguito della denunzia di un privato o del rapporto di un soggetto pubblico. In ordine, poi, al problema se una mera congettura sia idonea a costituire notizia di reato con conseguente obbligo delle procure di investigare, va detto che vi è una norma delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale che esplicitamente stabilisce quest’obbligo quando una morte sia accompagnata anche solo dal semplice sospetto che possa essere dipesa dalla commissione di un reato. Nessuna censura, dunque, può essere mossa ai magistrati che indagano. Di cui, come si è sottolineato in precedenza, va anzi apprezzata la grande compostezza. Il problema, allora, se un problema c’è, è di regole.

Il Codice Vassalli ha consapevolmente portato in prima linea, nell’accertamento dei reati, la figura del pubblico ministero. La scelta aveva lo scopo di evitare che le indagini fossero svolte da una polizia giudiziaria dipendente dall’esecutivo e, perciò, condizionabile nello svolgimento dell’attività. La immediata entrata in campo del pubblico ministero, posto a capo degli organi investigativi, avrebbe garantito la impermeabilità delle indagini a condizionamenti esterni. Il rischio che questa previsione si trasformasse nella attribuzione di superpoteri ai pubblici ministeri era combattuto mediante l’attribuzione di poteri di controllo al Gip prima ed al Gup successivamente e mediante la necessità che il Giudice del dibattimento giudicasse esclusivamente sulla base delle prove formatesi innanzi a lui.

La soluzione adottata non si è mostrata adeguata alla realtà e ciò per due motivi. Innanzitutto, ha fatto sì che si riversasse sul tavolo dei pubblici ministeri, senza alcun filtro preventivo, una quantità enorme di notizie di reato, anche di quelle la cui palese inconsistenza era precedentemente vagliata da polizia giudiziaria e pubblica amministrazione. Di qui, da un lato, una vera e propria alluvione di fascicoli cui è di fatto impossibile fare fronte e, dall’altro, un enorme potere discrezionale nello stabilire su cosa investigare e su cosa lasciare nel cassetto. Inoltre, alla ipertrofia del pubblico ministero si è contrapposto il nanismo del Gip e del Gup, che avrebbero dovuto controllarne l’attività, con la conseguenza che, anche per il sensazionalismo ricercato dai mezzi di comunicazione, il cuore dell’accertamento di legalità si è incentrato nella parola del pubblico ministero. Sono le regole in vigore che, allora, spiegano perché la questione della adeguatezza dei vaccini sia in Italia, e solo in Italia, materia di indagine penale e perché la notizia dell’indagine stia avendo un ruolo talvolta decisivo nel rifiuto di molti cittadini di affidarsi al vaccino AstraZeneca. Ciò, nonostante l’interesse collettivo di raggiungere al più presto la cd. immunità di gregge ne consigli la più vasta somministrazione, come avvenuto in altri paesi.

Tutto questo induce, allora, a chiedersi se le regole non vadano modificate nel senso di evitare che le procure della repubblica siano in prima fila, quantomeno nelle ipotesi in cui è meno significativo il rischio di una ingerenza dell’esecutivo nello svolgimento delle indagini. Per le materie in cui non vi è in linea di massima questo rischio, di solito ravvisabile soprattutto rispetto ai reati contro la pubblica amministrazione, i relativi accertamenti potrebbero essere svolti in via autonoma e preventiva dalle amministrazioni interessate o dalla polizia giudiziaria, senza clamore e senza intasare il tavolo dei pubblici ministeri. Contemporaneamente, si eviterebbe quell’affrettato giudizio di colpevolezza, che ormai si accompagna ad ogni iniziativa delle procure della repubblica, e che si traduce in un giudizio di inadeguatezza del vaccino AstraZeneca.

Tanto da chiedersi se il provvedimento di sospensione dell’utilizzo di tale vaccino, emesso nelle ultime ore dall’Agenzia del Farmaco, non sia che una irragionevole conseguenza delle reazioni emotive determinate dai sequestri disposti in sede giudiziaria, invece che il frutto di accertamenti approfonditi. Il rischio è di sprofondare, ed annegare, in un nuovo populismo: quello sanitario.