Per lui si sono mobilitate tutte le forze del centrosinistra. Non solo Pd, M5S e Leu, firmatari del patto per Napoli, ma l’intera galassia progressista. Eppure Gaetano Manfredi continua a dichiararsi «autonomo rispetto ai partiti» e a rimarcare il presunto carattere civico di una candidatura che di civico ha ben poco. La strategia dell’ex ministro, oggi aspirante sindaco di Napoli, è chiara: smarcarsi dal centrosinistra per “pescare” voti in altri schieramenti. A tratti, però, le parole di Manfredi sembrano tradire qualche imbarazzo per le ultime mosse dei vertici del “suo” Partito democratico. Su tutte quella del segretario nazionale Enrico Letta, che in tv ha puntato il dito contro i magistrati che si lanciano in politica, e quella del leader partenopeo Marco Sarracino, che ha aperto all’ipotesi di un’alleanza con i centri sociali.

Non è difficile immaginare perché certe esternazioni siano causa di imbarazzo per Manfredi. Le parole di Letta e di Sarracino, infatti, fanno esplodere per l’ennesima volta le contraddizioni che caratterizzano il Pd. Partiamo proprio da quelle del segretario nazionale a proposito della candidatura del pm Catello Maresca a Napoli e del giudice Simonetta Matone a Roma per il centrodestra: «Sono in funzione nel posto in cui si presenteranno al vaglio degli elettori. Hanno preso decisioni delicatissime e hanno accesso a dati sensibili della terra dove si candidano. La legge italiana ha un buco e non lo impedisce. Ed è un errore». Letta sicuramente ha ragione quando stigmatizza il fatto che un magistrato punti ad amministrare la città dove, fino a qualche giorno prima, ha esercitato le funzioni giudiziarie. Valori come imparzialità, indipendenza, terzietà e trasparenza dovrebbero sconsigliare – se non addirittura impedire – a una toga di lanciarsi in politica in quel luogo.

Non si spiega, però, perché a suo tempo il Pd non abbia fatto il diavolo a quattro per spingere il Parlamento ad approvare quel ddl Zanettin volto proprio a colmare le lacune in materia di candidabilità dei magistrati. E non si spiega nemmeno perché i dem abbiano assunto una posizione così “molle” sulla riforma che la guardasigilli Marta Cartabia sta faticosamente portando avanti e che riguarda anche il ruolo dei magistrati. E poi c’è il segretario metropolitano Sarracino che a Repubblica sottolinea la necessità che il campo progressista si apra alla galassia antagonista, cioè a quelle forze di estrema sinistra capaci di aggregare i giovani. Il riferimento è a Insurgencia, centro sociale tradizionalmente vicino al sindaco uscente Luigi de Magistris rispetto al quale il Pd si è affannato a presentarsi come alternativo. Le esternazioni di Sarracino hanno fatto scattare l’altolà del presidente campano Vincenzo De Luca che, attraverso il suo vice Fulvio Bonavitacola, ha chiuso la porta all’ingresso degli antagonisti nella coalizione progressista che sostiene Manfredi.

Qui la contraddizione sta ancora una volta nel rapporto ambiguo che il Pd coltiva con Dema: prima lo contesta, poi lo definisce «costola del centrosinistra» e ci si allea alle suppletive nel collegio del Vomero, alla fine lo indica come causa di (quasi) tutti i mali di Napoli salvo poi continuare a strizzare l’occhio a lui in Calabria e ai suoi accoliti a Napoli. Insomma, da Letta, Sarracino e Bonavitacola solo affermazioni ambigue e schermaglie personali. Con buona pace di Manfredi e di chi dal Pd si aspetta scelte chiare sul rapporto tra toghe e politica e sulla necessaria discontinuità rispetto a de Magistris

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.