Sui sindaci in galera è scontro tra Pichetto e Salvini: chi vuole abolire l’abuso d’ufficio e chi no

Liberare i sindaci dalle tagliole dei pm, o invece mandarli in galera? Grande confusione all’interno del governo, e rimescolamento politico delle carte sulla giustizia. Lega-Forza Italia, uno a zero. Succede di tutto, e anche che, mentre la stessa Presidente del consiglio Giorgia Meloni vuol liberare i sindaci dai legacci del reato di abuso d’ufficio, un membro del suo governo, il ministro Pichetto Fratin, voglia mandarli in galera per gli abusi edilizi e i disastri ecologici. E il paradosso è che il titolare del dicastero dell’ambiente sia di Forza Italia, il partito più garantista della storia.

E anche che venga immediatamente rimbeccato da Matteo Salvini, altro ministro dello stesso governo, che subito si mette al fianco dei pubblici amministratori, e che è il leader della Lega, non certo campione di garantismo. Succede di tutto, in questo governo. Le carte dello Stato di diritto sono proprio tutte da rimescolare. Del resto basterebbe ricordare che la Lega aveva promosso nei mesi scorsi insieme al partito radicale i referendum sulla giustizia, uno dei quali proponeva l’abolizione della Legge Severino, quella che i sindaci li sospende dopo la sola condanna in primo grado. Anche per abuso d’ufficio. Presidente del Comitato promotore era quel magistrato in pensione che portava il nome di Carlo Nordio, e che ora è ministro guardasigilli. Quello specifico quesito del referendum, Giorgia Meloni non lo aveva firmato. E quella sarebbe la vera riforma da fare, subito.

Grande è la confusione sotto il cielo della giustizia, quindi la situazione è eccellente. Si, perché dopo anni di inerzia, e soprattutto dopo i governi Conte e la scia luminosa lasciata dal ministro Fefè Bonafede con la sua norma “spazzacorrotti” che equipara i reati contro la pubblica amministrazione a quelli di mafia e terrorismo, qualcosa si sta muovendo. La modifica dell’articolo 323 del codice penale, quello che punisce il pubblico ufficiale che faccia un cattivo uso del proprio potere per avvantaggiare qualcuno o danneggiare altri, è ormai all’ordine del giorno. Ne ha parlato con insolito pathos la Presidente Meloni nei giorni scorsi all’assemblea dell’Anci, il luogo giusto nel momento giusto per far gonfiare il petto a tutte quelle fasce tricolori dei primi cittadini di tutta Italia. E proprio domani ci sarà un incontro tra i rappresentanti dei sindaci, il guardasigilli Nordio e il viceministro Francesco Sisto.

Mai norma fu più tormentata. Cambiata quattro volte in trent’anni, l’ultima nel 2020, e per fortuna anche con il superamento del più insidioso reato dell’interesse privato in atti d’ufficio, è diventata nel tempo un vero “grimaldello” nelle mani dei pubblici ministeri. E anche quel che rimane nel piatto quando il giudice non vuol troppo dispiacere il “collega” pm, quando sono ormai caduti in quanto inesistenti i più gravi reati di corruzione e concussione. Un “abuso d’ufficio” non si nega a nessuno. Ma bisogna anche ricordare che il 93% delle volte anche le inchieste su questo reato “minore” finiscono nel nulla. Paradossalmente ce lo ricorda proprio un ex magistrato di punta come Piercamillo Davigo, che sul giornale di famiglia, il quotidiano in toga permanente effettiva, chiede addirittura che la fattispecie venga peggiorata, e che si dia più potere agli investigatori.

E lamentando la scarsa (o nulla, per fortuna) applicazione data a quella parte della ”spazzacorrotti” che prevedeva l’impiego dei provocatori infiltrati, per “prendere i ladri con le mani nel sacco”. Quando si sentono questi concetti così sottili, così giuridicamente impeccabili, vengono alla memoria episodi del recente passato ancora a processo a Brescia, che forse avrebbero meritato la presenza di qualche agente provocatore infiltrato, e allora ne avremmo sentite delle belle. Comunque è il dottor Davigo stesso a ricordare i dati Istat riportati due anni fa dal Sole 24 ore, secondo cui, per esempio nel 2017, a fronte di 6.500 cause avviate per l’abuso d’ufficio, le condanne erano state 57. Secondo l’ ex toga, non erano stati i magistrati a usare indebitamente il famoso “grimaldello”, ma i cittadini insoddisfatti a denunciare i propri amministratori che, evidentemente, non facevano il proprio dovere.

Eppure non erano certo meno “sottili” di lui Sabino Cassese che ha spesso denunciato l’indeterminatezza dell’art. 323, che consente abusi e l’ex magistrato e presidente della Camera Luciano Violante, che si era spinto ben più in là, definendo la norma come una sorta di “mandato a cercare” le irregolarità amministrative, i reati. Evanescenze persecutorie che non dispiacciono a un’altra toga, Nicola Gratteri, che invita i sindaci a “non fare vittimismo”. Mentre si affaccia sulla scena un nuovo imprevisto campione di garantismo, il leader dei Verdi Angelo Bonelli. Il quale, forse nervoso per non saper gestire la vicenda Soumahoro, e pur di attaccare il governo Meloni, dice che “la mafia ringrazia” per il fatto che nella legge di bilancio sono state tagliate le spese per le intercettazioni. Forse senza sapere che l’Italia intercetta più degli interi Stati Uniti, e senza conoscere l’uso con conseguenti degenerazioni che dei vari trojan vengono fatti. Comunque qualcosa si muove sotto il cielo, e la situazione è eccellente.