«Ma Conte ha capito o no che il giorno 9 rischia di perdere il governo?». La deputata di Forza Italia, una senior non certo salviniana, sta andando in Commissione Bilancio dove, ammette, «rischia di scoppiare un altro incendio perché 5 giorni di discussione tra commissione e aula sono un’insulto al Parlamento». Ma di questo ne parleremo più in là.

Il Presidente del Consiglio in queste ore è alle prese con il rompicapo Dpcm, cioè come rinchiudere gli italiani in casa per Natale nonostante gli indici di contagio bassi. Il suo obiettivo ieri era soprattutto convincere i cittadini, nella tradizionale conferenza stampa all’ora di cena, che non c’è scelta: la Messa di Natale alle 22 invece che alle 24, il pranzo da soli invece che in famiglia, per non parlare dei cenoni in albergo chiusi in camera, gli alberghi di montagna aperti ma le piste di sci chiuse e i viaggi da regione a regione interdetti. Non è il Covid a mettere a rischio il governo, non sui numeri almeno e non oggi. Il virus sta abbassando il consenso ma non suona la campanella per il Conte II.

L’urgenza è il voto del 9 dicembre quando il Presidente del Consiglio farà le comunicazioni al Parlamento in vista del Consiglio europeo che avrà all’ordine del giorno il via libera finale, dopo tre anni di istruttoria, alle modifiche del Trattato del Mes (common backstop). Quel giorno Conte dovrà fare i conti con due partiti in rivolta e in ordine sparso, per motivi opposti: Forza Italia e il Movimento 5 Stelle. Cioè un pezzo della sua maggioranza e il partito meno ostile tra le opposizioni. Due terremoti che rischiano di bocciare le Comunicazioni del premier. L’equivalente di un voto di sfiducia.

Il colpo di testa di Berlusconi, martedì, ha ribaltato conti già fatti, tattiche e strategie. Tutti si aspettavano il voto a favore di Forza Italia, in coerenza con gli appelli costanti all’uso dei 37 miliardi del Mes sanitario. Una piccola assicurazione per il governo. Un lungo comunicato ha invece spiegato che Forza Italia «voterà compatta con il centrodestra», quindi dirà No al Trattato perché le modifiche «non vanno nella direzione richiesta». Qui il discorso si fa molto tecnico. Diciamo che Pd, Leu e Iv sono convinti che la modifica del trattato sia un vero passo in avanti verso l’unità bancaria della Ue. Così come ritengono che vada preso il prima possibile il prestito da 37 miliardi. Sulla stessa linea è sempre stata Forza Italia, nel solco della tradizione liberal ed europeista del Ppe.

Per Lega, Fratelli d’Italia e M5s da anni il Mes è invece il diavolo e anche solo nominarlo fa scattare l’allarme ideologico e pregiudiziale. Il problema è che oggi si tende a confondere la riforma del trattato con la linea di credito, erogata nell’ambito dello stesso Trattato, destinata solo a spese sanitarie per combattere la pandemia. Il volta faccia di Forza Italia, per quando spiegato con motivazioni tecniche, è figlio del quadro politico nel centro destra e del braccio di ferro continuo con la Lega di Salvini che, non senza qualche complice interno, da tempo vuol fare un boccone del partito del Cav. Berlusconi aveva sfidato e vinto Salvini e Meloni la scorsa settimana piegandoli a votare uniti lo scostamento di bilancio. Cinque giorni dopo il leader della Lega ha chiesto e ottenuto la prova di fedeltà. Il punto è adesso come uscirne.

La mossa di Berlusconi ha poi messo a nudo gli umori dei 5 Stelle a loro volta divisi e affatto convinti della mediazione di Vito Crimi: «Dire sì alla riforma non ci impegna in alcun modo sull’attivazione della linea di credito». Che poi è la stessa motivazione, ribaltata, usata dal Cavaliere: no alla riforma, sì al prestito sanitario. I 5 Stelle infatti hanno fatto sapere, con una lettera, che 17 senatori e 52 deputati sono contrari alle decisioni assunte a maggioranza e voteranno no. I conti sono presto fatti: la maggioranza Pd, Iv, Leu, M5s e Autonomie può contare al Senato su 158 voti. Le opposizioni su 149. Se i 17 senatori fanno quello che hanno annunciato e Forza Italia obbedisce in blocco al suo fondatore, le comunicazioni di Conte saranno bocciate.

Oggi ci sarà l’assemblea virtuale dei gruppi M5s. I governisti hanno avvisato: «Complimenti alla minoranza che scrive lettere per aprire a Draghi la strada di Palazzo Chigi». Luigi Di Maio sta tentando la mediazione. Ma deve anche fare i conti con le sedute fiume della Lega alla Camera (contro l’approvazione del decreto immigrazione) che in ogni intervento accusa i 5 Stelle di «aver venduto l’anima pur di tenersi la poltrona». Anche Forza Italia ragiona sul dà farsi per evitare un voto in ordine sparso. Che sarebbe l’epitaffio sul partito.

La soluzione intravista è quella di portare avanti una propria risoluzione, distinta da Lega e Fratelli d’Italia, in cui si ribadisce quanto scritto dal Cavaliere: «No al Mes bancario, sì al Mes sanitario». Ieri sera, poco prima della conferenza stampa, ha lanciato la sfida anche Italia viva molto delusa per il nulla di fatto al Tavolo di maggioranza sul programma politico. «Non c’è accordo sulle riforme, né sul Mes né sulla riforma del Fisco. Stiamo perdendo tempo». E i 17 voti dei renziani al Senato saranno, mercoledì prossimo, più decisivi che mai.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.