Mentre l’Italietta cincischia con la riforma del premierato – da una parte c’è l’imposizione di un testo pasticciato da parte del governo, dall’altra il muro di sbarramento pregiudiziale da parte dell’opposizione – dal Regno Unito arriva una bella lezione di governabilità. “Con la vittoria del Labour e l’incarico immediato a Keir Starmer in Gran Bretagna ha funzionato una forma di premierato forte”, assicura Claudia Mancina, intellettuale riformista e già docente di Etica alla Sapienza di Roma. Allo stesso modo, aggiunge, “il ballottaggio francese, che molti commentatori considerano produttore di caos, ha prodotto una situazione limpida in cui le desistenze sono state accettate. Il meccanismo ha funzionato eccome e non è affatto una distorsione della democrazia come hanno detto, non a caso, sia Jordan Bardella, il portavoce del Rassemblement National, sia Sergej Lavrov, il ministro degli esteri russo”.

L’appello trasversale

Mancina è tra i firmatari e promotori di un appello trasversale e bipartisan, presentato ieri a Roma all’Hotel Nazionale di Piazza Montecitorio, che chiede a tutte le forze parlamentari di collaborare seriamente ed efficacemente alla realizzazione della modifica della forma di governo. Il documento è stato elaborato da quattro associazioni e fondazioni (Magna Carta, IoCambio, Libertà Eguale, Riformismo e Libertà) che nei mesi scorsi hanno prodotto una serie di note critiche e proposte di modifica del testo di governo e una maratona oratoria per attirare l’attenzione sul tema. Sul tavolo c’è il testo voluto fortemente da Giorgia Meloni e steso da Maria Elisabetta Casellati, ministra per le riforme costituzionali: un testo che le quattro associazioni considerano utile per aprire il processo di riforma, ma assai pasticciato.

Il sistema di voto

“La nuova legge elettorale resta avvolta nel mistero, ma la riforma del premierato resta inapplicabile se non si scioglie il nodo del sistema di voto. È la stessa riforma che lo prevede”, avverte Giuseppe Calderisi, origini radicali, già deputato di Forza Italia e superesperto di sistemi elettorali. In pratica, il disegno di legge stabilisce che il premier è eletto direttamente, ma non dice come. Eppure il sistema elettorale è parte fondamentale della forma di governo. Basta ricordare qui l’esempio del Regno Unito, in cui la forza del premier si basa sul sistema uninominale maggioritario, e della Francia, dove il presidente della Repubblica può contare sull’efficacia del sistema a doppio turno. Senza contare che un premier eletto direttamente finirebbe presto nella palude del bicameralismo perfetto che, tra i paesi europei più avanzati, esiste soltanto in Italia. Infine, Calderisi accende una luce su un enorme ‘baco’ del sistema: il voto degli italiani all’estero i quali “oggi pesano 5 volte meno rispetto al loro numero. Ma con l’elezione diretta del premier gli italiani residenti all’estero conterebbero per tutti i loro voti, e pertanto potrebbero risultare decisivi, determinando una contraddizione gravissima tra l’esito elettorale in voti e quello in seggi”.

Nessuna proposta alternativa

Tuttavia, a dispetto delle osservazioni critiche e senza lasciare grande spazio al dibattito, lo scorso 18 giugno l’aula del Senato ha approvato il disegno di legge costituzionale che introduce l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Da parte dell’opposizione, però, non c’è nulla, neanche uno straccio di proposta alternativa, soltanto un muro pregiudiziale e ottuso. Finora il Partito Democratico ha solo agitato la trita minaccia fascista dell’uomo solo al comando, rifiutando l’idea di sedersi al tavolo per contribuire a migliorare il testo. Mercoledì scorso, durante un convegno a Roma del Pd, risibile a partire dal titolo (“Premierato e autonomia tra diritti, partecipazione e potere: quale prezzo per le donne”), la segretaria del Pd Elly Schlein ha affermato che il premierato sarebbe nientepopodimeno il frutto “del patriarcato oppressivo in cui si fa valere la legge del più forte”.

La lettura di Claudia Mancina ed Enrico Borghi

Di fronte al modo in cui funzionano le democrazie liberali occidentali è la prova provata dell’imbarazzante goffaggine dell’attuale controproposta politica e costituzionale da parte del partito cardine dell’opposizione. Viceversa, spiega ancora Mancina, “se non si fa una riforma condivisa perde l’Italia. Oggi abbiamo di fronte un duplice rischio: una riforma fatta male oppure una buona riforma che viene bocciata per partito preso”. Quindi aggiunge una nota di fiducia: “Potrebbe essere la volta buona ma solo se il governo è disponibile a dialogare e se il Partito Democratico abbandona la pregiudiziale postura di guerra che ha assunto”. All’iniziativa delle quattro associazioni partecipa anche Enrico Borghi, capogruppo di Italia Viva al Senato. “Il premier eletto direttamente dai cittadini non è lesa maestà”, garantisce l’esponente di Iv, “ma bisogna uscire dalla contrapposizione muscolare tra l’imposizione del governo e le barricate dell’opposizione”. Infine, serve chiarezza sulla legge elettorale: “Fratelli d’Italia sarebbe disposta al ballottaggio con doppio turno, ma Lega e Forza Italia resistono”, rivela Borghi.

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