Che sarebbe finito in un flop lo si era intuito sin dall’inizio, e probabilmente lo sapevano anche dal governo. Segnatamente il premier Meloni, quando alla domanda “perché non avesse avvertito prima del cdm il vicepremier Tajani” rispose “perché certe cose è meglio tenerle nascoste fino all’ultimo”. Nascoste a chi? Agli alleati di governo, o alle banche, o ai mercati? A chiunque volesse tenerlo nascosto, Giorgia Meloni non ha considerato una cosa: la segretezza finisce con l’aprirsi delle porte di palazzo Chigi e un decreto legge, se pur immediatamente esecutivo, deve passare dal parlamento. E qualunque maggioranza non è mai così coesa come gli interessi delle Banche, soprattutto quando coincidono con quelli dei mercati.

E così la prima stangata è arrivata proprio dal servizio Bilancio del Senato, nel dossier allegato al provvedimento. L’ufficio ha messo in guardia i parlamentari su un probabile rischio legato all’eventuale incompatibilità costituzionale della tassazione temporanea sugli extra profitti delle banche. “In particolare – si evidenzia nel documento – qualora non si tenga adeguatamente conto della effettiva capacità contributiva dei soggetti passivi del prelievo o si creino distorsioni fiscali irragionevoli”. L’ufficio del Senato rileva che l’eventuale incostituzionalità “potrebbe essere dichiarata dopo l’avvenuto introito e la conseguente spesa delle somme in questione, il che determinerebbe un peggioramento dei saldi corrispondente alle risorse che dovessero essere restituite alle banche per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale.

Ieri però la sentenza definitiva, se pur non vincolante, l’ha data la Bce. “L’imposta straordinaria inciderà in particolar modo sugli enti meno significativi, che tendono a concentrarsi maggiormente sull’erogazione del credito, mentre gli enti significativi tendono ad avere una proporzione più elevata di reddito basato sulle commissioni”. Lo scrive la Bce nel parere legale sulla tassa sugli extraprofitti delle banche proposta dal governo Meloni. La Bce spiega che “per effetto dell’applicazione generale dell’imposta straordinaria, gli enti creditizi che hanno minore solvibilità, o che sono maggiormente concentrati sull’erogazione del credito (quali le banche di piccole dimensioni) oppure che hanno proiezioni patrimoniali impegnative potrebbero vedere ridotta la loro capacità di assorbire potenziali rischi al ribasso di una recessione economica”.

“Inoltre, in una prospettiva di lungo periodo – prosegue il parere – tassi di interesse più elevati possono incidere negativamente sulla situazione finanziaria dei beneficiari di prestiti, aumentando così il rischio di credito. Tali effetti non sono presi in considerazione nel concepire l’imposta straordinaria, in quanto quest’ultima è calcolata sul margine di interesse netto e non sugli utili netti. È opportuno che tali diversi fattori siano debitamente valutati al fine di garantire che gli enti creditizi rimangano in una posizione favorevole per assorbire potenziali perdite future”.

La critica più pesante riguarda la retroattività: “L’imposta straordinaria può rendere più costoso per le banche attrarre nuovo capitale azionario e finanziamento all’ingrosso, in quanto gli investitori nazionali ed esteri potrebbero avere meno interesse a investire in enti creditizi italiani che hanno prospettive più incerte”, scrive l’ente a firma della presidente Christine Lagarde. “Inoltre – prosegue il documento – l’introduzione di una imposta retroattiva ad hoc aumenta indebitamente l’incertezza sul quadro fiscale, danneggiando la fiducia degli investitori e influenzando potenzialmente anche il costo del finanziamento per le società non finanziarie. Inoltre, la sua natura retroattiva può alimentare la percezione di un quadro fiscale incerto e dar luogo a un ampio contenzioso, creando problemi di incertezza giuridica”.

Auditi in commissione, anche i banchieri hanno stroncato la misura. Che certamente verrà fortemente ridimensionata. Come i “non ci piegheremo” annunciati dal governo Meloni.

Annarita Digiorgio

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