Da parte di esperti e non, si ripete in queste ore – riguardo alla legge n.86/2024 sull’autonomia differenziata – che al momento possiamo disporre solo di un comunicato stampa della Consulta, e che pertanto bisognerà attendere la motivazione completa per capire bene tutti i risvolti della vicenda.
Intanto il comunicato occupa tre pagine, dense e tecniche, e molti stimoli ricostruttivi sono già disponibili. La Corte costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge, mentre ha considerato illegittime specifiche disposizioni del testo legislativo. Secondo il Collegio, l’art. 116, terzo comma, della Costituzione (che disciplina l’attribuzione alle Regioni ordinarie di forme e condizioni particolari di autonomia) «deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana».

La distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo – stando al parere dei giudici – non deve «corrispondere all’esigenza di un riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico» ma deve «avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione». Dunque, proprio a questo fine, è il principio costituzionale di sussidiarietà a regolare la distribuzione delle funzioni tra Stato e Regioni.
Su queste basi, qualche considerazione da subito si impone. La prima è che, nella contesa fra Nord e Sud, fra Regioni ricche e povere, fra chi sostiene che l’impianto della legge Calderoli ha resistito e chi replica che è tutta da riscrivere, si può affermare per ora – e non è poco – che ha vinto lo Stato di diritto, la democrazia occidentale parlamentare, con il suo sistema di pesi e contrappesi.

Mentre in Iran – la nazione più antioccidentale che esista – una donna può finire i suoi giorni in un manicomio per una ciocca di capelli fuori posto, nella nostra democrazia parlamentare (spesso eccessivamente vituperata) una grande riforma istituzionale procede per passi meditati e soprattutto improntati alla realistica presa d’atto che l’iter legislativo, inaugurato con la legge costituzionale del 2001, deve continuare nella ricerca di un equilibrio razionale e maturato, in un dibattito che attraversa fasi e sedi composite e dialettiche.
Se si coglie bene, in sintesi, il pensiero espresso nel comunicato, la Consulta ha sancito che l’iter riformistico deve continuare con il raggiungimento di un punto di equilibrio fra valori immanenti nella Carta, che vanno meglio e più razionalmente armonizzati. Non deve quindi sorprendere né il numero delle annotazioni critiche né l’importanza strutturale delle stesse. Occorre invece gioire per il fatto che i Poteri siano attivi e critici, augurandoci che – guidati dal canone della leale collaborazione – ci forniscano nel tempo una risposta degna di un paese moderno, unito, solidaristico e competitivo.

Due ulteriori osservazioni (per ora). È superfluo chiedersi se la legge n. 86/2024 possa ritenersi indenne e ancora operativa sino a quando il Parlamento non effettuerà l’opera di completamento dei “vuoti” e delle distonie normative riscontrate dalla Corte. Anche se formalmente in vigore, qualunque ulteriore segmento attuativo non potrà non tenere conto di quanto affermato dalla Corte Costituzionale e sarà soggetto di un vaglio di razionalità, alla stregua dei parametri sentenziati.
L’altra osservazione riguarda il trasferimento di competenze che non è di “materie” – anche di tutte le materie dell’art. 117 Cost. – ma di funzioni, e sempre (va sottolineato) che la richiesta sia motivata e aderente all’esigenza del miglior servizio da offrire alla popolazione regionale interessata.

Torna e diviene centrale, quindi, il tema della motivazione della richiesta che – ancora una volta – sottende ponderazione, proporzionalità e razionale sviluppo: tutti valori intrinsechi e di cui dobbiamo essere consapevolmente fieri e meritevoli. Un sicuro riscontro va colto nella ultraventennale giurisprudenza della Consulta che, dalla riforma del 2001, sta affinando i criteri di riparto legislativi fra Stato e Regioni. Valga il costante rimando alla concorrenza, la cui disciplina compete allo Stato, sia pure incrociando plurime competenze che spetterebbero alle Regioni. Infine, un’ultima considerazione. La richiesta referendaria era intempestiva e forse ora inammissibile.

Bartolo Conratter

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