Ha usato la cortesia di aspettare Rousseau. Rispettando così le regole interne democratiche che ogni partito gruppo o associazione ritiene utili per sé. Ma certo non poteva sottostare al ricattino che ieri gli hanno fatto pervenire Grillo e i 5 Stelle. «Ci aspettiamo che Draghi stasera alla fine delle consultazioni alla Camera dica qualcosa in pubblico sul programma di governo e sul superministero per la Transizione ecologica da noi richiesto in modo di avere più elementi utili per la votazione su Rousseau» era il senso dell’indiscrezione che ha girato ieri fino a metà pomeriggio. Alla fine si sono dovuti accontentare di una telefonata Draghi-Grillo e il ministero per la Transizione se lo sono dovuti confermare da soli. Grillo ha rilanciato se stesso («ho avuto la conferma»), Di Maio ha rilanciato Grillo («questa è una grande notizia») e il premier dimissionario Conte ha fatto il resto: «Se fossi iscritto a Rousseau voterei per Draghi».

Che è persona a quanto pare paziente. Ma che sa bene che c’è un limite che non può essere superato. Per rispetto di sé, del mandato e anche del resto del Paese che ha fretta di avere un governo e non intende sottostare ai ricatti 5 Stelle.
La votazione può quindi partire. Sarà breve, oggi dalle 10 alle 18. E se dovesse vincere il No al governo Draghi, saranno i 5 Stelle a decidere cosa fare. Di sicuro i voti dei 191 deputati e dei 92 senatori non sono più indispensabili nel governo di unità nazionale che deve spingere l’Italia fuori dalla pandemia. E anche questa è una novità per il Movimento abituati in questi anni ad avere la golden share del Parlamento.

Il Presidente incaricato ha concluso alle 19 una lunga giornata di consultazioni con le tante anime – venti – della società civile, dai sindacati a Legambiente-Wwf e Greenpeace per finire con l’Agis, l’associazione delle aziende nel mondo dello spettacolo, cinema e teatri compresi. Anche a loro ha chiesto idee e proposte. Anche queste sono finite nel bloc notes dove sta prendendo forma una certa idea di Italia. Poi, come tutte le sere, è salito in auto ed è andato via. Senza dire una parola né lasciar trasparire indicazione sul timing della formazione del governo. Nessuno sa dire quando salirà al Colle per sciogliere la riserva. Quanto presenterà la lista dei ministri. Quando il confronto con il Capo dello Stato. E quando il giuramento. «Dovrebbe tutto concludersi nel fine settimana dicono le indiscrezioni raccolte tra Quirinale e Montecitorio che ha ospitato una settimana di consultazioni.

Vada come vada il voto su Rousseau, il governo Draghi partirà. Nel caso arrivasse un no, è più facile che avvenga una scissione – una dozzina di parlamentari, non di più – che vedere Di Maio e company rinunciare a governare la fase del Recovery plan e della ripartenza. I 5 Stelle considerano i 209 miliardi una loro “conquista”. Tesi difficile da supportare visto la guerra che il Movimento ha fatto a Bruxelles fino alla primavera del 2019. Rousseau o no, il Movimento entrerà nel governo Draghi con Berlusconi, Salvini e Renzi e leverà il Pd dall’imbarazzo di dover gestire un governo di salute pubblica con il centrodestra e gli odiati renziani. Il tema del voto su Rousseau appassiona fino ad un certo punto. Il giochino di tenere il governo appeso alla piattaforma di Casaleggio non ha funzionato. Il quesito sembra blindato: «Siete d’accordo con un esecutivo a guida Draghi che ha il ministero per la Transizione ecologica?».

Dettagli che certo non placano i gruppi parlamentari dove la rottura è dietro l’angolo. «Una scissione non è da escludere – diceva ieri il deputato Pino Cabras – Non è indifferente dire sì o no a Draghi. Significa dismettere le nostre battaglie storiche». Cabras definisce Draghi «l’uomo che nel 2015 faceva il waterboarding (una tortura, ndr) alla Grecia: nel momento in cui avevano bisogno di liquidità, gli ha chiuso i bancomat… È un curatore fallimentare. Il suo è un gattopardismo tecnocratico che sta cambiando anche la natura dei partiti in Italia».

La lista degli anti Draghi tutto sommato è corta: Barbara Lezzi, Elio Lannutti, Bianca Laura Granato, Andrea Colletti, Mattia Crucioli e lo stesso Cabras. Di Battista fuori a tirare le fila. Qualcun si potrà aggiungere. Ma si tratta appunto di piccoli numeri. Il corpaccione del Movimento sarà della partita. Che adesso, definito il perimetro (tutti dentro tranne Fratelli d’Italia), si concentra sui ministri, la composizione della squadra di governo, l’articolazione del programma che avverrà, nonostante i 5 Stelle, solo nel momento in cui Draghi andrà al Senato per chiedere il primo dei due voti di fiducia. Il gioco del totoministri e sulla tipologia del governo ha consumato quasi tutte le variabili.

È chiaro che sarà un governo politico, diversamente avrebbe vita breve. Così come è chiaro che nei ministeri chiave Draghi vorrà avere i suoi uomini e che il programma sarà limitato. Si fa per dire perché solo per impostare e avviare il Recovery con le tre riforme chiave (pubblica amministrazione, leggi semplificazione; giustizia civile e fisco) servono almeno due anni. Si sa che il Movimento ha chiesto 3 ministeri, Pd, Lega e Fi almeno due, tutti gli altri – Iv, Leu ma anche Calenda e i nuovi responsabili ne avrebbero uno. Troppi. È chiaro che qualcuno dovrà accontentarsi di un posto da viceministro o dei sottosegretari. Una cosa è certa: Draghi deciderà senza negoziare.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.